Roma, mercoledì 11 Dicembre 2019 – Alla vigilia dell’appuntamento elettorale nel Regno Unito proponiamo a lettrici e lettori di “www.attualita.it” un articolo del nostro collaboratore Alessio Argentieri, appena pubblicato con il titolo “Boris non è… Martin (Johnson)” sul numero in edicola di Allrugby – la rivista italiana del rugby diretta da Gianluca Barca (N° 142- Dicembre 2019; www.allrugby.it), con la quale prosegue una proficua osmosi. Il tema trattato, quanto mai attuale in vista del voto cruciale per il destino delle isole britanniche e di tutto il Vecchio Continente, è quello della Brexit, il cui lungo percorso ha incrociato, per imperscrutabili ragioni, quello dell’ultimo Campionato del Mondo di Rugby. Buona lettura!
Il Direttore
Salvatore Veltri
Una singolare coincidenza ha fatto intersecare, in un week-end di Ottobre 2019, il decorso della Rugby World Cup in Giappone con il tormentato cammino del Regno Unito in uscita dall’Unione Europea.
Come ampiamente riportato dalle cronache, la mattina di sabato 19 ottobre il XV inglese superava agevolmente l’Australia nel primo quarto, garantendosi l’accesso alla semifinale contro la Nuova Zelanda, dal sapore di finale anticipata. Nello stesso giorno l’Irlanda, arrivata al Mondiale con aspettative forse sovradimensionate dal ricordo della storica vittoria sugli AllBlacks di Chicago del Novembre 2018, cedeva ai campioni del mondo in carica senza poter opporre grande resistenza. Domenica 20 ottobre anche il Galles, superando di misura la Francia, conquistava la semifinale, prossimi avversari gliSpringboks.La sorte della quarta squadra britannica era intanto già nota dalla settimana precedente:l’onda giapponese aveva travolto una Scozia in crisi da ricambio generazionale,decretandone l’eliminazione da terza classificata del girone A.
A tener alto l’onore sportivo del Vecchio Continente sono quindi restati in lizza proprio i due paesi del Regno Unito in cui il Sì aveva prevalso nettamente nel referendum sulla Brexit del 2016; fuori gioco, al contrario, le altre nazioni britanniche filo-UE sostenitrici del “Remain” (così come Francia e Italia).
In questo quadro parziale di gerarchie sportive definito si nel campionato mondiale di rugby, l’eco della vittoria inglese ha trovato inaspettatamente spazio a Londra nella seduta straordinaria di sabato 19 ottobre mattina alla House of Commons, che solo in occasioni eccezionali apre i battenti nel fine settimana. Durante il cruciale dibattito sulla Brexit, quando era lecito attendersi un’atmosfera assai tesa su un tema- fondamentale per il futuro del Regno Unito e dell’Unione Europea, che sfibra da molti mesi tutti gli attori – ecco la sorpresa che autorevoli Membri del Parlamento, con proverbiale humour britannico, hanno riservato ai sudditi di Sua Maestà la Regina Elisabetta II e al mondo che li guardava.
L’ex Primo Ministro Theresa May, vistosamente sollevata da quando non ha più sulle spalle il fardello di governare in prima persona la complicatissima transizione, ha aperto il suo intervento informando gli onorevoli colleghi che, arrivando in aula, aveva visto un messaggio che recitava “Goodday for May”. Theresa, dosando compiaciutamente i tempi delle pause e della battuta come una navigata attrice dei teatri del West End, ha ammesso con grande autoironia, di non essersi fatta illusioni che si trattasse di un tardivo consenso per la sua figura politica e per l’accordo da lei raggiunto con l’Europa. Aveva infatti compreso trattarsi di omonimia con l’ala dei bianchi Jonny May, autore quel giorno di due mete all’Australia, e perciò al momento assai più popolare di lei tra i sudditi di Sua Maestà.
Nella medesima seduta anche il primo ministro Boris Johnson ha citato la vittoria dei bianchi per schernire in punta di fioretto lo scozzese Ian Blackford, capogruppo alla Camera dei Comuni dello Scottish National Party, a sottolineare l’importanza del ruolo guida dell’Inghilterra, in tutti i campi, all’interno del Regno Unito. Mai come in questa fase è alto il livello dello scontro tra il governo conservatore e gli indipendentisti scozzesi,che guardano sempre di più all’Europa. A seguire Blackford ha infatti preconizzato un futuro di autonomia completa per la Scozia, chiedendo espressamente all’Europa di lasciare una ‘luce accesa’ in loro direzione.
E’ interessante come, nell’era della comunicazione a 360°, i leader Tories abbiano scelto di ammiccare al popolo britannico cavalcando le vicende rugbistiche della Coppa del Mondo 2019, confidando nella sorte sportiva. Il sogno sarebbe stato, se i gallesi non avessero subito tanti infortuni durante il torneo, una finale tutta britannica (e chissà come sarebbe andata in tal caso, con la atavica voglia di rivalsa dei dragoni rossi, derivante da generazioni di bisnonni e trisavoli consumatisi nel sottosuolo patrio a scavar carbone per alimentare fabbriche e caldaie d’Inghilterra). Lasciate da parte le ipotesi, è andata a finire in modo diverso dalle aspettative, con Galles e Inghilterra battuti rispettivamente nella finale bronzea e in quella dorata.
Ritornati alla realtà dei fatti, facciamo un passo indietro rispetto all’epilogo di sabato 2 Novembre in cui il Sudafrica ha conquistato la sua terza Coppa del Mondo.
Alla vigilia della finalissima contro il Sudafrica, il Primo Ministro Johnson si è lasciato andare a dichiarazioni esageratamente ottimistiche, poi nettamente smentite dal campo. Nel suo messaggio augurale alla squadra inglese, indossando a Downing Street la casacca bianca con la rosa, rivolgeva con enfasi ai suoi paladini il messaggio “Come on England, you can do it!”. Su tutti citava in particolare un giocatore, al quale si sentiva maggiormente affine: il pilone destro Kyle Sinckler, rivangando il proprio seppur modesto passato da studente ad Oxford nel ruolo di tight head prop (per la cronaca ricordiamo che Sinckler nella finale di Yokohama è uscito per infortunio dopo nemmeno due minuti di gioco, a causa di un fortuito scontro con il suo compagno Itoje). L’incitazione di Johnson aveva lo stesso tenore del mantra “Let’s get Brexit done!”, che egli va ripetendo da tempo ai sudditi del Regno Unito, anche in tal caso senza successo (perlomeno sinora). Anche la rivista The Economist, nel numero di Ottobre 2019, ha colto nella personalità politica multiforme di Johnson dei tratti da capitano di rugby (“…Mr Johnson has brought many of the techniques of the sport to the political field. He has demonstrated a single-mindedness: everything he does is about getting the ball over the line”).
L’umiltà non è una caratteristica propria degli albionici, men che meno dell’attuale capo del governo. Eppure Johnson avrebbe dovuto far tesoro della sua esperienza in Giappone nel 2015, in veste di Sindaco di Londra; nel corso di una visita in quelle isole si trovò a partecipare, in maniche di camicia, ad una piccola dimostrazione di street rugby. Boris, ricevuto l’ovale e serratolo saldo tra le mani, si lanciò con sacro furore in un’impetuosa cavalcata lungo la fascia laterale, travolgendo un bimbetto nipponico mingherlino e sconcertato, ertosi a difensore suo malgrado, per poi capitombolargli maldestramente addosso prima della linea di meta.
Da questa bizzarra narrazione emerge ancora una volta come la palla ovale sia maestra di vita anche fuori dal rettangolo di gioco. Sarà difficile, guardando i video su Youtube, non convenire che per Theresa May e per il suo successore Johnson (che oggi si trova, come un pilone destro, con la testa incastrata tra la Camera dei Comuni e l’Unione Europea) sarebbe stato meglio non avventurarsi, fisicamente o metaforicamente, sul terreno rugbistico che non gli sta portando fortuna.
Perciò chiudiamo con un invito ai britannici, dall’Italia terra di secolare tradizione scaramantica, a cercare di leggere con attenzione i segnali premonitori che vengono dagli eventi della natura, come facevano i druidi celtici. Il Commissario Tecnico del Sudafrica trionfatore nella Coppa del Mondo, di chiare ascendenze boere, di cognome si chiama Erasmus, come il teologo e filosofo olandese vissuto tra a cavallo tra il XV e il XVI secolo. A quest’ultimo, grande viaggiatore in Europa alla scoperta delle diverse culture del continente, è intitolato il celebre programma di mobilità studentesca che l’Unione Europea,per favorire l’integrazione e gli scambi internazionali,ha creato nel 1987 (toh, un’altra coincidenza, lo stesso anno della prima Coppa del Mondo di Rugby…).
Strani incroci tra Brexit e rugby, se fossi britannico ci penserei bene su.