Roma, 29 gennaio 2024 -Il mese di febbraio avvolge ogni anno gli appassionati di rugby nell’atmosfera inebriante del Sei Nazioni.
In attesa della 25a edizione del Torneo, che inizierà il prossimo venerdì 2, un piacevolissimo prologo ha avuto luogo sabato 27 gennaio 2024 ai piedi dei Monti Lepini, nell’area metropolitana di Roma.
Siamo nel triangolo Colleferro- Artena- Segni, culla di una tradizione rugbistica che ha nelle radici operaie del territorio la sua tradizione.
Una working class della Valle Latina che, sulle rive del Fiume Sacco, trova impiego da generazioni nell’industria (chimica, bellica, aerospaziale, ecc.), nelle attività estrattive e ormai solo residualmente nell’agricoltura.
Siamo in quello che, nel contesto locale, non esito perciò a definire su basi socio-rugbistiche “il nostro Galles”.
Questa location ben si addice alla giornata di cultura storica del rugby, organizzata dalla Fondazione “Il Museo del Rugby, Fango e Sudore”, per la proiezione del docufilm “Ellis, no, un’altra origine del rugby”.
L’evento si è aperto nella tarda mattinata di sabato nel borgo di Artena, con una visita guidata delle sale espositive de Il Museo del Rugby presso il quattrocentesco Palazzo Traietti.
A seguire, un evento conviviale, immancabile nelle meritorie iniziative nelle quali la squadra capitanata da Corrado Mattoccia si prodiga per la promozione della cultura sportiva e del territorio.
Veniamo quindi al momento centrale della giornata, la proiezione, presso il Cinema Multisale Ariston di Colleferro, del lungometraggio prodotto dall’Associazione Culturale Navicellai.
La proiezione è stata preceduta dagli interventi introduttivi, coordinati da Mattoccia, del Sindaco di Colleferro e Vice Sindaco della Città metropolitana di Roma Capitale Pierluigi Sanna, del Sindaco di Artena Felicetto Angelini, del Presidente del Consiglio Regionale del Lazio Antonello Aurigemma e del Presidente della Federazione Italiana Rugby Marzio Innocenti, intervenuto all’evento assieme al suo Vice Antonio Luisi.
Nell’occasione gli eredi di Vincenzo Bertolotto hanno consegnato al Museo del Rugby Italiano la maglia azzurra indossata dal giocatore torinese nel 1936 nello storico Torneo pre-olimpico disputato a Berlino.
Il documentario è ispirato al saggio di ricerca storica “Leghorn 1766. Il calcio fiorentino e l’origine del rugby” scritto da Filippo Giovannelli e Matteo Poggi (Navicellai, Firenze, 2021), che propone una nuova ricostruzione delle radici del rugby.
Curatore del docufilm “Ellis, no, un’altra origine del rugby” è lo stesso Poggi.
Il libro e il documentario sono frutto di un pregevole lavoro di storiografia sportiva, a tratti quasi filologico, risalendo indietro nel tempo alla ricerca della germinazione del gioco.
La corsa di William Webb Ellis con la palla in mano, collocata nel 1823 a Rugby nel Warwickshire, rappresenta nell’immaginario collettivo il momento fondante della disciplina.
Eppure di questo evento, che si perpetua nella narrazione orale, mancano le fonti storiche e documentali.
Da questa lacuna ha preso le mosse la ricerca degli autori, che sono tornati indietro nel tempo, fino al secolo XVIII.
E nello spazio, abbandonate la Midlands occidentali, sono andati a cercare il seme nel Granducato di Toscana, regnante Pietro Leopoldo di Lorena.
Si sa che la storia la scrivono sempre i vincitori, nel caso in specie gli inglesi, che della palla ovale (come di quella rotonda, di quelle del tennis e di molti altri giochi) si sentono la paternità esclusiva nell’ideazione e nell’esportazione.
Eppure qualche battaglia può chiudersi in pareggio.
Questo è il caso di “Leghorn 1766”, con cui gli autori, entrambi fiorentini, individuano nel calcio in costume, ed in particolare nella variante alla livornese, il seme del “proto-rugby”, senza mettere mai in discussione l’origine inglese del gioco moderno.
Con dovizia di citazioni bibliografiche e fonti archivistiche, la narrazione (sia scritta che visuale) ci conduce in una Livorno portuale di metà ‘700, centro fiorente di attività marittime e commerciali internazionali, con presenza di una nutrita comunità inglese.
E dalla costa toscana il viaggio di scambi culturali e commerciali ci conduce, quasi in ordine alfabetico, da Livorno a Liverpool, all’epoca della rivoluzione industriale, proponendo una chiusura del cerchio (sorry, meglio dire dell’ovale).
Non diciamo altro, invitando alla lettura del volume e alla visione del documentario.
Resta da dire che solo dalla Toscana, e da Firenze in particolare, che della difesa del campanile conserva orgogliosamente la tradizione sin dal Medioevo, poteva giungere una risposta italica alla visione “imperiale” britannica, a ristabilire giustizia storiografico-sportiva.
Chissà che nelle intenzioni gli Autori, scegliendo come titolo “Leghorn” (dizione in inglese della città di Livorno) non ci sia dell’ironia, a richiamare il bilinguismo anglo-labronico del proto-rugby?