Ha fatto molto bene il C.T. azzurro Conor O’Shea a sottolineare l’arbitraggio dell’inglese John Paul Doyle al termine della partita. Ed anche il Times lo ha sottolineato.
L’irlandese che guida l’Italia ovale non ha mostrato grande fairplay, ma le sue parole sono sacrosante. In sintesi: sull’Italia spesso aleggiano preconcetti che condizionano le sue partite. Se vogliamo progredire occorre che cambi la percezione di quello che veramente gli azzurri esprimono in campo.
Sacrosanto il concetto espresso dall’allenatore italiano 35 volte presente nella Nazionale celtica.
Le sue parole sono in piena assonanza con le convinzioni che molti osservatori imparziali si sono fatte. Gli arbitri anglosassoni (la maggior parte) delle grandi competizioni internazionali, quando c’è l’Italia in campo (ultima arrivata) davanti ad una platea mondiale, si mettono addosso i panni dei maestrini (“ora vi faccio vedere io come si gioca, come si arbitra e come si rispettano le regole”). Ed allora subito a cercare il pelo nell’uovo. Ma il “pelo” è solo quello italiano e non degli avversari (“Che il gioco lo conoscono e lo praticano da tanto tempo!”). Così finisce che l’arbitro anglosassone guarda soltanto quello che fanno gli ultimi della classe ignorando i primi, che altrimenti il match si trasformerebbe in un concerto di fischi.
La musica deve cambiare dentro e fuori il campo.
Dove bisogna abbandonare il fair play e parlare chiaro come ha fatto l’irlandese O’Shea.
Ieri Doyle ha fischiato 16 volte a favore dei gallesi e solo 5 in favore dell’Italia. E 14 dei 33 punti realizzati dal Galles sono stati messi a segno quando l’Italia è stata lasciata in 14.
La rimonta gallese nel secondo tempo – quando gli azzurri erano in vantaggio per 7-3, – è arrivata non grazie a delle mete ma per i calci piazzati dal micidiale piede di Halfpenny (che non è mezzo soldo, ma una vera miniera d’oro e di punti). Le mete sono arrivate solo col vantaggio di un uomo!
Nessuno si sta arrampicando sui vetri per spiegare una sconfitta. Nessuno scarica tutto sull’’arbitro. Questi va sempre rispettato come hanno fatto ieri gli azzurri. Addirittura si può anche dire che nei confronti degli azzurri è stato anche magnanimo quando non ha sospeso Steyn reo di un placcaggio pericoloso che doveva essere sanzionato. Sarebbe stata una decisione più che giustificata, fra l’altro raccomandata dall’International Board per frenare il gioco violento. Un atto di magnanimità arrivato, però, quando ormai l’Italia era ormai cotta e con un uomo in meno. E la partita era ormai stata mortificata nei suoi significati tecnici ed agonistici.
No. Il nostro ineffabile Doyle (e altri arbitri internazionali del Regno Unito), quando c’è l’Italia di mezzo, si fanno sopraffare dalla libidine di fare i “Pierini” e di dare lezione di rugby agli “italiani spaghetti”.
I danni prodotti da questi maestrini vanno oltre il semplice risultato. Danneggiano l’intero “show” in quanto non consentono ad uno dei contendenti (nel caso l’Italia) di esprimere il proprio potenziale.
La ratio del rugby consiste nella conquista del territorio altrui. Un avanzamento metro per metro che obbliga a sforzi considerevoli per avvicinarsi alla linea di meta dell’avversario. Quando sul più bello di questo sforzo l’arbitro trova motivo per assegnare una penalità all’avanzante (che è quello meno interessato all’ostruzione ed alla fallosità) di modo che il difensore con una pedata ti ricacci al punto da cui sei partito (e con il diritto di avere in mano il pallone), si producono tutta una serie di conseguenze negative che si rovesciano sullo svolgimento normale del gioco.
La prima è che non permette all’avanzante (l’Italia) di avvicinarsi a quella segnatura che è ormai nelle cose, disorientando il pubblico per una supremazia che non trova il logico sfogo.
Il primo tempo di Italia-Galles è stato esemplare sotto questo profilo. Mai nel Sei Nazioni una partita si è disputata in un silenzio sconcertato e sconcertante come Italia-Galles all’Olimpico. L’arbitraggio di Doyle ha gelato italiani e gallesi (10 mila) di solito, allegri, spensierati, goliardici. Con Ole e cori a susseguirsi.
Eppure l’Italia stava conducendo per 7-0 fino a pochi minuti dalla fine della prima frazione. Difficile capire il perché della mancanza di entusiasmo da una parte e l’altra sugli spalti. Se non spiegarla con lo sconcerto per un show palesemente mortificato dall’arbitraggio.
La seconda conseguenza è stata che la contesa rapidamente si è trasformata in un aborto tecnico-tatico con tentativi da ambo le parti (inizialmente ben disposte ad avanzare con il pallone in mano) di guadagnare terreno affidandosi ad un ping pong di calci in avanti, dopo sterili tentativi di sfondamento delle difese avversarie.
Insomma ieri all’Olimpico un arbitro britannico ha ucciso sul nascere quel bel rugby di movimento e di corsa visto sabato a Dublino ed a Twickenham fra Irlanda e Scozia (27-22) ed Inghilterra- Francia (19-17).
La terza conseguenza, quella più grave di tutte, è che gli Azzurri, per recuperare tutto il terreno perso per il rapporto 1 a 5 (5 contro 16 complessivi) nei calci di punizioni, hanno dovuto spendere nel primo tempo e per buona parte della ripresa tesori di energia che poi hanno dovuto inevitabilmente pagare nel finale di partita, specie quando sono rimasti in dieci.
Mai nella storia del Sei Nazioni si è verificato uno squilibrio di disciplina così vistoso. Neanche gli azzurri fossero una masnada di killer, mentre la partita è stata, invece, un modello di fair play, senza mai un accenno minimo di rissa. Neanche agli intemperanti ed indisciplinati giocatori delle Isole Fiji è capitato un simile trattamento.
Il Galles ha impiegato un tempo per capire di che stoffa fosse l’Italia di O’Shea e Parisse. Poi nell’intervallo il C.T. gallese Rob Howley ha spiegato ai suoi che per battere gli azzurri bisognava fare come le formichine: un passino alla volta, con estrema umiltà. Al resto ci ha pensato Doyle con 5 penalità successive (a zero) che hanno permesso ai Dragoni di portarsi in vantaggio sul 7-15. Quindi un uomo in meno e la stanchezza dell’Italia hanno permesso al Galles di portarsi in meta e di siglare il 33-7 finale in loro favore.
A guardare bene, dunque, un risultato miracoloso per gli azzurri contro un Galles favorito per la vittoria del Torneo.
Un risultato che esalta la prova degli azzurri che, nonostante l’handicap Doyle, hanno tenuto testa fino all’ultimo meritando la vittoria in condizioni normali e limitando il passivo. Una grande prova, davvero, che lascia ben sperare per il futuro e per la sfida di sabato contro l’Irlanda, ancora all’Olimpico di Roma.
Grazie al Cielo l’arbitro sarà il neozelandese Jackson, un tipo che già ha arbitrato gli azzurri in un paio di occasioni senza mostrare pregiudizi od inclinazione ad esibirsi da “maestrino”.