Roma, 17 giugno 2018 – A poche ore di distanza dalla partita inaugurale dei Mondiali russi di calcio, il popolo degli sportivi italiani ha avuto l’opportunità di rimuovere la frustrazione di non vedere sui rettangolo verde il colore azzurro della prestigiosa maglia italiana – rimpiazzata via via da quelle senza tradizione di Arabia Saudita, Marocco, Egitto, Iran Australia, Nigeria e compagnia … giocando.
Come? Seguendo dal Giappone alle 7 del mattino (fuso orario) il successo dell’ItalRugby sui nipponici per 25-23.
Qualcuno potrebbe osservare: dov’è la grande notizia anti frustrazione? L’ItalRugby batte il Giappone (che non sono gli All Blacks)! Ed allora?
Allora, si da il caso che il Giappone abbia da lungo tempo sposato il rugby. Facendo grandi passi avanti fra i paesi maggiormente ovali. Ha scoperto che i nipponici hanno una naturale predisposizione verso questo sport basato sulla forza di gruppo, sul sacrificio, il coraggio e l’altruismo.
Hanno scoperto che dai lottatori di Sumo si possono estrarre nerboruti atleti ideali per la mischia, che in alcune località del paese nascono spilungoni in grado di distinguersi nel basket, nella pallavolo ed anche per le rimesse laterali del rugby (touche)!
Così, oggi squadre giapponesi di club partecipano al campionato dell’emisfero sud che si disputa con le squadre più forti di Nuova Zelanda, Australia e Sud Africa e che , il prossimo anno, 2019, i Mondiali si disputeranno proprio nel Paese del Sol Levante.
Quanto alla Nazionale Giapponese di Rugby, essa, per i risultati ottenuti negli ultimi anni, si è insediata al decimo posto nel Mondo, cioè subito dopo Nuova Zelanda, Australia, Sud Africa, Inghilterra, Irlanda, Galles, Francia , Scozia. Argentina. Mentre l’Italia, prima del tour in estremo oriente, dopo 8 sconfitte consecutive, figurava in quattordicesima posizione.
Una faccenda che rendeva assai problematico il proseguimento del rapporto del CT Conor O’Shea con la FIR.
Avendo perso il primo dei due test-match giapponesi a Oita per 34-17, un secondo insuccesso in quel di Kobe, avrebbe costretto il Presidente della FIR Alfredo Gavazzi a cercare altrove un altro Responsabile Tecnico, pur nella convinzione del buon lavoro impostato dal manager irlandese.
Invece, proprio in quella che è l’ultima esibizione pubblica della stagione, è accaduto che finalmente l’Italrugby ha centrato la “quadra”.
È riuscita, cioè, a operare la sintesi di un lavoro durato due anni.
O’Shea, infatti, ha iniziato il suo mandato nel luglio 2016.
Esperto in “costruzione” di assetti rugbystici di alto profilo e durata, O’Shea aveva bisogno di tempo.
Tempo per farsi un quadro di tutte le forze disponibili esistenti in Italia, di aggregarle, testarle, sostituire i veterani, utilizzare ai fini della Nazionale le due super squadre Benetton e Zebre che partecipano ai vari tornei europei ed alla Celtic League.
Un lavoro necessariamente lungo che non si può improvvisare.
Molti erano stati i segnali che si fosse sulla buona strada. Il successo
(primo nella storia contro il Sud Africa a Firenze); le ottime prestazioni svolte nel Sei Nazioni – dove veniva a mancare solo il risultato – tutto indicava che l’approdo era vicino.
Però c’era sempre qualcosa che mancava. Questioni di dettaglio che, però, incrinavano il coro.
Una volta era un reparto che non si allineava. A volte un altro. Una volta erano problemi in mischia. Una volta nelle rimesse laterali. Una volta mancava il calciatore. Una volta era la coppia mediana che mal funzionava. Spesso si mancava in difesa. Spesso in attacco. L’Italia appariva con una coperta corta. Si aggiustava da un parte ma si guastava da un’altra.
Però l’impressione era che si fosse vicinissimi alla meta. Che fosse un gravissimo errore buttare il lavoro di mesi e mesi per poca pazienza.
Bravo, dunque, Gavazzi a mantenere la calma. A mai dare la sensazione che mancasse fiducia ed a lasciare che O’Shea coordinasse tutto il lavoro di spessore di alto livello federale.
Alla vigilia del tour giapponese, la Nazionale si presentava con una trentina di elementi “nuovi” rispetto al passato. Perfino Capitan Parisse, era rimasto a casa per infortunio. Della vecchia e gloriosa guarda erano rimasti solo Ghiraldini ed il “ricostruito” Zanni (in seconda linea).
A Kobe, si è visto fin dal calcio di inizio che la “quadra” era stata finalmente raggiunta. La sintesi di quello che è stato il lavoro di O’Shea, si è visto palpabilmente fin dal primo minuto di gioco .
Azione azzurra iniziata dal 2 minuti e 23 secondi con avanzamento e passaggi da una parte all’altra del campo con continuità e fluidità di rango internazionale e partecipazione corale. Così giocando per 50 minuti, l’Italia si è portata all’inizio della ripresa sul 19-3.
Il Giappone non è capitolato ulteriormente in virtù di una capacità difensiva e di placcaggio assolutamente superiore.
Ed anche perché l’arbitro neozelandese Briant ha annullato, su indicazione errata della moviola una meta regolarissima di Minozzi.
La prestazione azzurra, per altro, è stata praticamente perfetta. Finalmente la mediana Violi-Allan, ha mostrato accuratezza, velocità di intesa e trasmissione. In attacco gli azzurri hanno sempre avuto il sostegno attorno a sé ed i passaggi accurati.
Nelle fasi di gioco statico, l’organizzazione è risultata sempre adeguata ed attenta tranne che in un paio di touche offensive sballate e su qualche cedimento nella mischia chiusa nella ripresa quando il Giappone ha dato il meglio di sé.
Insomma una squadra affiatata, ben registrata in ogni soggetto.
In particolare è apparso splendidamente maturato Allan. Ottimo in ogni circostanza, nel gioco alla mano come al piede.
Ha dimostrato perfino un’ottima calibratura nei calci piazzati. Qualcosa che da anni l’Italrugby aspettava.
Stesso discorso anche per Violi, finalmente rapido e preciso nella visione del gioco e negli smistamenti. Un grande contributo anche nel sostegno. La meta di Campagnaro, la più bella della giornata, è merito del suo sostegno nel gioco aperto.
Insomma un’Italia, fresca e convincente. Con un sicuro presente ed uno
stimolante futuro.
Assicurata la base. Ora c’è da lavorare sui dettagli. Uno di questi è la disciplina. Una delle ragioni per cui la vittoria sul Giappone è risultata meno netta nel punteggio di quanto non sia apparso in campo, sono stati il numero alto di penalità assegnate contro gli azzurri. Molte per placcaggi alti, a collo.
Bisogna fare molta attenzione. Gli arbitri hanno avuto disposizione di essere assai severi a riguardo, per salvarguardare l’incolumità, spesso esagerano in questo senso. Ma è così e bisogna assimilarlo. Sotto questo aspetto i giapponesi hanno dimostrato di essere maestri. Placcano tutto, ma mai alto.
Messo a posto i dettagli, il futuro ovale azzurro appare certo anche perché dietro, la Nazionale Italiana U20 di capitan Michele Lamaro in Francia oggi pomeriggio si gioca contro il Galles la settima posizione al mondo. Un traguardo significativo mai raggiunto prima.