Roma, 10 marzo 2019 – L’attesa triplice sfida fra Inghilterra ed Italia nel Torneo delle Sei Nazioni di rugby si è chiusa con un secco 3-0 in favore deI padroni di casa d’Oltremanica.
Risultati: a livello assoluto maschile 14-54; femminile 0 – 55 (le azzurre mantengono la seconda piazza); Under 20: 10 -35.
Insomma, senza tante storie, “ci hanno fatto neri!” o piuttosto blu, azzurri!
Alla luce delle recentissime prestazioni al Sei Nazioni fra gli addetti ai lavori si era affacciata l’ipotesi che i maestri del rugby fossero alla portata del rugby italiano.
Infatti, gli Azzurri del C.T. irlandese O’Shea si erano battuti ad armi pressoché pari contro Scozia, Galles e soprattutto l’Irlanda.
Le ragazze di capitano Furlan, addirittura si presentavano ad Exeter prime in classifica, a pari punti con l’Inghilterra, nonché imbattute da 5 partite.
Quanto agli azzurrini, il loro score al Torneo li aveva visti vittoriosi contro la Scozia, sconfitti di misura contro gallesi ed irlandesi.
Ciò premesso, perché non ipotizzare la possibilità di conseguire qualche successo anche in terra d’Albione?
Si erano, invece, fatti male i calcoli. Ovvero non si era tenuto conto, o sottovalutato, un aspetto rivelatosi decisivo: la vigoria fisica inglese.
I progressi italiani recenti si sono costruiti attraverso una crescita tecnica importante e tanto lavoro appassionato da parte dell’ambiente e dei giocatori, molti dei quali sono andati a giocare nei campionati inglesi e francesi per fornirsi di quella intensità di
prestazione necessaria agli alti livelli.
Il punto è che, contrariamente ad altri sport di squadra – come il calcio – dove la tecnica individuale consente di mettere in evidenza soggetti fisicamente poco ( e normo) dotati in senso assoluto. Pensiamo agli stessi Pelè, Maradona, Platinì, Del Piero e
via dicendo.
Anche se, comunque, quando il talento tecnico si associa alla qualità atletica superiori, arriva il Ronaldo della situazione che consente alla Juve di chiudere il campionato italiano cinque mesi prima della fine o compromettere la favola del Real Madrid insuperabile prima della sua fuga a Torino.
Nel rugby la fisicità è importante, rilevante e decisiva. A parità di livello tecnico, la squadra più dotata fisicamente si impone quasi necessariamente.
Ed allora, come si può realizzare al meglio questa sintesi?
E perché all’Inghilterra riesce meglio ed all’Italia meno? Od anche alla Nuova Zelanda?
Perché Tonga, Samoa, Fiji sono fra le prime 15 squadre al mondo in uno sport praticato da 8 milioni e mezzo di individui dispiegati su 121 paesi?
Perché dispongono dei migliori preparatori fisici, dietologi, strutture , incentivi, soldi?
No. La risposta non può che essere: perche attingono e reclutano su una base più vasta od idonea.
Nei paesi poco affollati, come la Nuova Zelanda o piuttosto come le isole del pacifico, tutta la gioventù pratica solo il rugby. Il potenziale sportivo, tutto, si indirizza verso il rugby.
Cento ragazzi? Tutti praticano il rugby fin dai primi passi. Se, poi, il padreterno li ha dotati di fisici muscolati, potenti, di fibre da velocisti – giganteschi cubi senza fragilità o appigli – ecco accadere che mille giovani praticanti diventano 1000 campioni, pronti ad
essere esportati in tutti i paesi ad alto interesse rugbystico. Considerando il rugby europeo, diciamo “bianco”, il traguardo del connubio fisicità-tecnica si cerca e si ottiene nella misura in cui si riesce ad accrescere la base di riferimento vincendo la concorrenza di altri sport, anche professionistici.
A questo punto si impone il discorso organizzativo strutturale e del numero dei praticanti. Più sono e più puoi accrescere la selezione, puntando alle cifre che sono fatte di peso , altezza, potenza e velocità da aggiungere alla destrezza.
Inoltre, tanto più un paese può vantare una grande tradizione di Rugby – mettiamo Irlanda, Galles, Scozia ed anche Francia – tanta maggiore sarà la capacità di attrarre la “meglio gioventù” verso questo sport,
a scapito delle altre discipline.
In Italia la concorrenza è spietata perché la sua gioventù si divide in tanti cosmi e microcosmi sportivi, tanto da renderla uno dei paesi più sportivi del mondo.
Il cosmo rugbystico italiano vanta discreta tradizione ed è decisamente in crescita, specie a livello feminile. Attinge dove può attingere e può difendersi discretamente contro avversari con un bacino di utenza abbastanza simile al suo , ma quando se la deve vedere con l’Inghilterra si trova a dover superare un dislivello molto arduo.
I dati al 2016 censiscono 2.139.000 praticanti in Inghilterra , con 382.154 tesserati agonistici. In Italia oggi i tesserati (uomini e donne) sono 88.252, un gap indicativo e significativo.
Se, però, a questo dislivello di partenza si aggiunge un nuovo fattore quali l’impiego di armi atletiche naturali super, allora arrivano guai che si fanno color blu.
L’handicap specifico che ha sofferto la Nazionale azzurra a Twickenham è stata la presenza contemporanea in campo di quattro giocatori “isolani” del Pacifico.
Il furbo australiano di genitore cinese, il C.T. Eddie Jones, con Squadra nazionale in ricostruzione per cambio generazionale, ha rimpolpato la sua truppa attraverso ben 4 giocatori di provenienza del Pacifico. Britannici certamente non di nome e cognome.
Ma gli inglesi grandi viaggiatori ed esploratori da sempre si considerano cittadini del mondo e viceversa: brexit docet!
Joe Cokegagasi, 21anni, esordiente, ala trequarti di 1,95 m x 115 kg., Isole Fiji, Man of the match;
Manu Tuilagi, centro trequarti, 1,85 m x 110 kg, Samoa, due mete ieri;
Ben Te’o, centro trequarti, 1,96m. x 106 kg;
Mako, Vunipola, terza linea centro, 1,80 m x 122 kg, Tonga.
Il Ct azzurro e la squadra era preparata ad affrontare uno scontro fisico importante ma sicuramente non lo erano per una strapotenza del genere. Tutto dentro le regole, si intende. Anche l’Italia, nella ripresa, ha immesso l’Italo.guineiano Cheriff Traorè,
pilone rugbisticamente fatto in Italia, ma certamente la presenza di 4 super di quella fatta su 15 elementi era una proporzione, corretta dal punto di vista dei regolamenti, ma esagerata sportivamente parlando tale che è risultata eccessivamente penalizzante per gli azzurri, da oggi rientrati in Italia piuttosto sconcertati, disorientati e con problemi seri in vista del match del prossimo week end a Roma contro la Francia
Infatti dagli scontri offensivi e difensivi contro due centri “panzer” britannici, prima Campagnaro poi Castello, ne sono usciti malconci tanto da dover essere sostituiti e da non poter essere impiegati a breve. Tutto ciò a partire già dal 23′ del primo tempo
quando la gara era ancora in equilibrio dopo la meta di Allan, la più bella di tutta la partita, conclusa al termine di una azione durata ben 17 fasi.
“Ad impossibilia nemo tenetur!” : contro questa Inghilterra “isolana”, l’Italia non ce la potrà mai fare!