(foto Ansa)
Roma, 24 gennaio 2017 – “attualita.it” ha dato ieri grande rilievo alla presentazione del SEI Nazioni 2017 di Rugby. Per oltre un mese, a partire dal 5 febbraio, questo evento sarà al centro dell’attenzione di tutto il mondo. Lo Stadio Olimpico di Roma farà registrare, come è ormai regola il tutto esaurito. La Capitale invasa da turisti-sportivi. L’Italia sfiderà la mitica crema del rugby europeo.
Con quali prospettive? Il rugby è da sempre considerato lo sport di squadra collettivo per eccellenza. Laddove il singolo conta relativamente perché, comunque, al servizio degli altri. Proprio al contrario del calcio, dove il Maradona, il Messi, il Ronaldo, il Dybala possono, con pochi acuti, cambiare il destino di una partita. Nelle loro squadre il lavoro dell’allenatore e dei compagni consiste nel creare le premesse per i loro magici exploit.
Eravamo anche noi assertori di questo assioma: rugby uguale collettivo. Lo eravamo fintanto che nel mese di novembre non è accaduto qualcosa che ha portato nuove riflessioni alla vigilia del Sei Nazioni
Il 19 novembre a Firenze l’Italia per la prima volta ha battuto 20-18 il grande Sud Africa pluricampione del mondo. Impresa assolutamente storica compiuta da una squadra capace collettivamente di superare se stessa in termini tecnici, fisici e mentali. Un’Italia da far sognare: finalmente siamo fra le Grandi. Invece, una settimana dopo a Padova, quella Italia da sogno si scioglie al cospetto di Tonga perdendo 17-19.
La cosa sembrerebbe impossibile. È come se la miglior formazione della Juventus, in una partita di Coppa perdesse con la formazione della Città del Vaticano. Gli abitanti dei 154 isolotti dell’Arcipelago di Tonga sono 104 mila. Gli italiani sfiorano i 60 milioni.
Siamo in pieno fantasport. Eppure Tonga vanta anche un successo casalingo contro la miglior Francia. Come è possibile ciò? La risposta è immediata. Quel migliaio di giocatori fra i 18 ed i 30 anni che praticano sport a Tonga, conoscono solo il rugby. Per loro la palla è solo ovale. Fisicamente sono dotati di una potenza esplosiva deflagrante. Il più piccolo di loro supera di peso il quintale. La loro aggressività è senza uguali. Si sono qualificati alla parte finale di ben 7 campionati del mondo.
Lanciati sono panzer cui non si possono concedere spazi. Per domarli, perciò, occorrono testa e coraggio prima di tutto da unire alla superiorità tecnica.
Gli azzurri , avevano sempre superato Tonga, anche nei Campionati del Mondo. A Padova gli italiani in campo hanno solo cercato di gestire la partita con il minimo sforzo sfruttando la superiorità tecnica. Ovviamente in uno sport di combattimento come il rugby non poteva bastare. Ed in solo pomeriggio, l’Italrugby si è giocata ogni credito, gettando nella depressione tutto l’ambiente che, con l’arrivo del nuovo tecnico irlandese Conor O’Shea, ed il successo sugli Springboks , aveva preso vigore.
Ieri alla presentazione nel Salone d’Onore del Coni erano naturalmente presenti tutti gli azzurri a Roma in ritiro collegiale. Fra di loro e sul Manifesto Ufficiale, la sagoma pelata di Sergio Parisse.
Già, Sergio Parisse, il capitano con 121 presenze record in Nazionale. No, lui non c’era a Padova. Una ingiusta squalifica lo aveva infatti appiedato contro Tonga.
Ed allora? Nel rugby un giocatore non può fare la differenza! Giusto? Si vince in XV e si perde in XV! È sempre stato così!
Al tempo: un momento. Riflettiamo. L’assioma è giusto come principio generale. Ma attenzione la cosa può cambiare d’aspetto quando il giocatore in questione non è soltanto un fuoriclasse riconosciuto in tutto il mondo, ma anche il capitano ed il leader della squadra.
La figura del capitano nel rugby non è solo quella di assistere al lancio della monetina da parte dell’arbitro. Il capitano nel rugby ha funzioni molto più importanti è decisive. È, infatti, il direttore della squadra sul campo. L’allenatore, infatti, non sta in panchina a dare indicazioni ai giocatori, ma sta seduto in tribuna per tutta la partita guardando sul monitor e magari suggerendo al massimo dei cambi. Ma per tutto quello che succede sul campo la responsabilità è tutta del capitano. Il Capitano è l’allenatore effettivo sul campo, ma anche il leader che deve mostrare ai compagni con l’esempio cosa fare. In una grande squadra possono esserci più leader. Ovvero giocatori che hanno il carisma per trascinare gli altri nei momenti difficili e per le tattiche da adottare.
Ecco, riflettendo bene sull’accaduto, il problema dell’Italia è che ha un solo leader. In precedenza affianco a Parisse c’era , per esempio, il tallonatore Ghiraldini. Ora, almeno, per il XV degli ultimissimi tempi non ce ne erano altri.
Fuori Sergio Parisse con i suoi 110 chili di muscoli, cuore e testa, non vi era altro leader e la squadra contro Tonga è andata alla deriva-
Contro il Galles il 5 febbraio e contro l’Irlanda l’11 febbraio, rientra Parisse. Ed è in piena forma. Sembra abbia messo su almeno altri 2-3 chili in più di muscoli. A 33 anni e due mogli, il Numero 8 abruzzese è nel pieno del suo vigore ed esperienza di avanti e di leader. Sicuramente la musica che suonerà l’Italia all’Olimpico sarà diversa.
Abbiamo veramente fiducia. Anche perché il recupero di Edoardo Gori nel ruolo di mediano di mischia (sempre che O’Shea sia dell’idea, ma finora ha dimostrato di capirci bene) ci restituisce non solo un regista con una trasmissione rapida ad un solo gesto, ma anche un secondo Leader in grado di guidare con opportuni ripiegamenti di sostegno i compagni. Insomma Parisse non sarebbe più solo.
Ed allora evviva il rugby come apoteosi della collettività. E l’Italrugby può guardare a questo Sei Nazioni con tre partite in casa (la terza il 10 marzo contro i Galletti francesi) con un pizzico di fiducia, anche perché O’Shea, per quanto riguarda gli schemi offensivi dei trequarti, sta realizzando risultati importanti che ci allineano alle altre formazioni.