Roma, 12 marzo 2018 – Un astruso paradosso dal momento che gli Azzurri al Millenium Stadium di Glasgow, purtroppo, sono stati ieri pomeriggio sciaguratamente sconfitti dai Dragoni per 38-14!
Ed invece paradosso non è perché ci sono serie ragioni per gioire per come nel week end l’Italia del rugby sia uscita dallo scontro rugbystico con il paese celtico.
L’evento Sei Nazioni Rugby, infatti, è il confronto fra i Sei Paese Europei di maggior spessore rugbystico: quattro rappresentative delle Isole Britanniche – Inghilterra, Galles, Scozia ed Irlanda (unite Nord e Sud) – e due europee continentali – Francia ed Italia.
Nel Torneo ogni anno le Sei Nazioni scendono in campo per stabilire la supremazia non solo al livello assoluto della Nazionale maschile, ma anche con le massime rappresentative sia al femminile che giovanile maschile ( Under20).
Bene, in questo week end la Nazionale capitanata da Sergio Parisse ha malamente perso per 36-13. In compenso, però, sia la U20 azzurra che la Nazionale italiana in rosa sono riusciti a superare (in Galles) le loro controparti celtiche rispettivamente ( e con pieno merito) per 18-7 e 22-15.
Non era mai successo prima. Due risultati storici che stanno a dimostrare che, a dispetto delle negative prestazioni della Nazionale A, il rugby italiano cresce.
La crescita della Nazionale Italiana Ovale delle donne è da rapportarsi con la crescita di tutto lo sport italiano al femminile testimoniato, ancora una volta, dalle medaglie ottenute dalle azzurre ai Giochi Olimpici Invernali coreani. Anche il rugby al femminile rientra in questo trend di avanguardia a tutto vantaggio dei colleghi maschi che si ritrovano, così, supportati anche da molto vicino.
Sembrano questi ragionamenti capziosi tesi ad indorare al Mondo ovale italiano le continue pillole amare che è costretto ad ingerire.
Alla fine, quello che importa sono le fortune della Nazionale maggiore e tutto ciò che può giovare come il rugby rosa e quello giovanile.
Quanto all’immediato, il rugby italiano è da anni impegnato nello sforzo di chiudere il gap che lo separa dal Rugby Grande composto da: le Cinque Nazioni Europee e dagli squadroni dell’Emisfero Australe (Nuova Zelanda, Australia, Sud Africa ed Argentina).
Il problema è che l’Italia – grazie al suo ingresso nel Sei Nazioni ed alla partecipazione alla Celtic League (Guinnes Pro 14’) è in continua crescita ma anche gli altri paesi maggiori crescono, sicchè il divario alla fine è difficile assottigliarlo. Anzi, c’è il pericolo che la fretta sia cattiva consigliera.
Occorrono molte energie unite a competenza, dedizione ed anche fantasia. Il CT irlandese Conor O’Shea questi requisiti sembra possederli tutti. Il suo lavoro – assieme a quello delle due “Nazionali” permanenti che sono Benetton e Zebre – hanno permesso di realizzare un rosa azzurra adeguata e competitiva sul piano internazionale sia da punto di vista tecnico che fisico.
Ma fin dalle prime uscite stagionali era apparso ancora deficitario il livello medio di forza caratteriale (capacità di superarsi).
O’Shea è riuscito ad individuare i giocatori che riescono a trovare energie fisiche e mentali anche quando sono terminate (“ci mettono la faccia”, “grattano il loro barile).
Ma non basta, perché, poi si deve imparare a difendere. E, quando hai imparato a farlo, occorre sapere anche attaccare.
L’Italia in queste quattro partite del Sei Nazioni, ha mostrato di essere riuscita a venire a capo dei primi tre problemi. Contro il Galles ha, quindi, tentato di imporre la propria personalità presentandosi registrata sul piano fisico, tecnico e difensivo .
Non è stata, però, in grado ancora di prodursi positivamente nelle fasi offensive. Il piano, evidente, di gioco era quello di riproporsi offensivamente in qualsiasi circostanza. Un piano coraggioso che prescindeva dalle capacità tecniche e tattiche in possesso (e sperimentate coralmente) di tutti i giocatori.
A Cardiff l’Italia ha cercato di fare di più di quello che era in grado di fare. Approfittando di alcune importanti assenze fra le fila gallesi, si è assicurata con tranquillità la prevalenza delle rimesse laterali. Ha controllato a lungo il possesso dell’ovale e del territorio avversario. Ha cercato di frastornare gli avversari giocando alla mano ogni pallone recuperato, Ma, ahimè, commettendo alcuni inammissibili svarioni nella fase (troppo affrettata) di trasmissione.
In altre parole, al sesto minuto del primo tempo, l’Italia era sotto di 14-0 per due autentici regali offerti gratuitamente agli avversari.
Successivamente , dopo la bellissima segnatura dell’ottimo estremo azzurro Minotti, sul 7-14 il Capitano Parisse ha preferito non piazzare una punizione facile per il 10-14 optando per un calcio in touche foriero della eventuale segnatura di una meta. Da un sicuro 10-14 ad un 17.7 perchè poi è arrivato invece un piazzato pro Galles.
La mossa audace di Parisse, nel mondo rugbystico, sta a significare un fatto preciso: “io sono più forte di te . Rinunzio ai 3 punti del calcio perché voglio metterti sotto realizzando 7 punti con una meta.”
Un atteggiamento arrogante però importante sul piano psicologico.
Un atteggiamento che voleva anche significare che l’Italia si sentiva più forte del Galles e glielo voleva dimostrare.
Dal punto di vista mentale l’atteggiamento espresso da Parisse e dell’Italia di O’Shea è quello giusto per le grandi imprese.
Nel rugby , come nella vita, se non si osa non si va lontano.
L’importante è non osare troppo ed a vanvera come è successo ieri in occasione di tutti e 38 punti realizzati dal Galles che ha portato a casa una vittoria che non meritava.
Per l’Italia, in vista della partita conclusiva di sabato a Roma contro la Scozia, una lezione che potrebbe essere salutare se bene inquadrata e digerita.