Rugby – Olli, un “parmigiano romano”

Conversazione con il tallonatore delle Zebre Oliviero Fabiani, nella rosa della Nazionale maggiore

Roma,  8 Febbraio 2019 – L’intervista esclusiva  con Oliviero Fabiani è pubblicata in
contemporanea su “www.attualita.it” e su “Allrugby” (la rivista italiana del rugby, N° 133- Febbraio
2019; www.allrugby.it), grazie ai rispettivi Direttori Salvatore Veltri e Gianluca Barca.
Domani 9 Febbraio, nella seconda giornata del Torneo 6 Nazioni 2019 Oliviero non sarà del
gruppo. Dopo averlo inizialmente convocato alla fine della settimana scorsa, lo staff azzurro
ha effettuato una seconda valutazione, decidendo di non impegnarlo ancora, non essendo
il giocatore ancora al meglio della condizione dopo un recente infortunio. L’auspicio è
perciò di vedere Olli, che la nostra redazione sportiva segue con attenzione e affetto da
tempo, al prossimo match. Nel frattempo, per i lettori di www.attualita.it, la foto di apertura di
questo articolo, che vede il tallonatore azzurro al centro della più improbabile prima linea
che – ne siamo certi- potrà mai capitargli nel resto della sua carriera. E poi a seguire, in
esclusiva, una breve galleria fotografica del suo percorso sportivo. Buona lettura .

Alla fine dell’estate 1990 ricordo una gradevolissima serata settembrina sul Monte
Argentario, in Maremma. A cena, sulla terrazza della casa di Porto Santo Stefano del mio
storico amico Massimo Fabiani, c’era anche la moglie di suo cugino Federico, con il figlio di
due mesi in braccio. Dall’angolo più recondito della mia memoria – è bizzarra assai la
mente umana- un’immagine è riemersa d’improvviso, nitida: la mamma Fabrizia che
allattava il piccolo Oliviero, tenendolo con grazia nell’incavo tra l’omero e l’avambraccio.
Oggi, ventotto anni dopo, quel neonato di allora è un giovane uomo che è in grado di
tenere, nello stesso modo e con la stessa cura e amore, una palla ovale e suo figlio Filippo,
nato quest’anno e che ha ora sette mesi.
Con questa reminiscenza il povero redattore, ripresosi a stento dallo shock del tempo che è
passato e passa come una saetta, va ad iniziare una conversazione con Oliviero Fabiani,
giocatore professionista di rugby, attuale tallonatore dello “Zebre Rugby Club” e con
all’attivo ad oggi già 7 presenze con la maglia della Nazionale maggiore.

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Visto che già sappiamo cosa facevi da lattante, continuiamo: raccontaci quello che
hai fatto dopo i primi vagiti.
Sono nato a Roma il 13 Luglio del 1990, ed ho cominciato con il minirugby tra i cinque seianni, sui campi del Centro Sportivo “Giulio Onesti” all’Acqua Acetosa. A portarmi su quella che poi sarebbe stata la strada della mia vita fu, quasi per caso, il padre di Davide, il mio migliore amico: si tratta di Alberto Bonavolontà, “Picci” per gli amici, dentista ed ex giocatore della Rugby Roma” (27 presenze in serie A, e padre di rugbisti, n.d.r.). Ero cicciottello, ma pure grossetto per la mia età, e quindi si intuì che nel fisico c’era qualcosa del mio destino! La Primavera è stata la mia prima casa, poi al momento della fusione con la Lazio nel 2000 sono passato in maglia biancoazzurra. Con la Lazio, dopo due finali
Under 19 disputate, sono stato chiamato in prima squadra”.

E qui, avendo citato la S.S. Lazio, bisogna aprire una parentesi, passando dalla palla ovale a quella sferica…
Certo, sono tifoso del calcio e soprattutto laziale da sempre, avendo respirato quell’aria in
casa, con mio nonno paterno Luciano che negli anni ’60 fu vicepresidente della S.S. Lazio
nella gestione Lenzini, e mio padre Federico, anche lui impegnato in società nel marketing,
che è stato tra i creatori del logo con l’aquila stilizzata. La famosa “maglia bandiera”, anche
quest’anno ripresa come prima divisa, fu una grande innovazione negli anni ‘80, in cui io
ancora non c’ero, la prima divisa serigrafata assieme, a quella della fortissima Fiorentina di
allora, con la F sul petto che si trasformava in giglio. Io quel simbolo di lazialità ce lo ho
marchiato sulla pelle.” (e non solo in senso figurato, visto che l’aquila stilizzata è tatuata
sulla gamba destra di Olli, n.d.r.).

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Ritorniamo sul percorso principale, altrimenti rischiamo una deriva imprevedibile…
Da ragazzino ricordo che da casa mia, presso Corso Francia, andavo a piedi da solo agli
allenamenti ai campi dell’Acqua Acetosa, percorrendo Viale della Moschea. Nella Roma di
oggi, molto cambiata e in peggio, non so se farei fare lo stesso a mio figlio. Dopo aver
perduto mio padre (Federico Fabiani è scomparso a soli 45 anni nel 2004, all’inizio
dell’adolescenza di Oliviero, n.d.r.) ho concluso con sofferenza gli studi superiori, cosa di
cui mi rammarico per aver fatto tribolare moltissimo mia madre. Per fortuna ho trovato la  mia strada nello sport, e oggi i miei familiari, ed in primis lei e mio fratello maggiore
Gregorio, mi sostengono e mi seguono nella mia carriera; c’erano anche loro a Dublino il 12 Marzo del 2016, al mio debutto in azzurro nella quarta giornata del Torneo delle Sei Nazioni  contro l’Irlanda, subentrando nella parte finale del match. Ho anche due cugini rugbisti, figli della sorella di mia madre: Giovanni Manozzi e il fratello
minore Pietro Francesco Maria” (rispettivamente: il primo classe 1984, centro, che ha giocato da professionista in Serie A nella Lazio, nell’Amatori Catania e nella Rugby Roma Olimpic, disputando in maglia azzurra la Coppa del Mondo U19 e con all’attivo un Cap in Nazionale A; il secondo, classe 1990, seconda linea attualmente in forza alla Unione Rugby Capitolina nel primo XV che disputa la Serie A, n.d.r.).

Ma facciamo un passo indietro, e parliamo del tuo passaggio al professionismo e del tuo trasferimento in Emilia.
E’ avvenuto in coincidenza con il mio ventiquattresimo compleanno, nel 2014, quando ho ricevuto la chiamata alle Zebre, dove mi ha accolto il mio maestro Victor Jimenez, che mi aveva già avuto con sé quando era tecnico alla Lazio, dalle squadre giovanili al primo XV. Mi sono perciò trasferito a Parma, in cui la qualità della vita è eccelsa. Ed è una città che ama il rugby: alle nostre partite casalinghe allo Stadio “Sergio Lanfranchi” abbiamo mediamente circa tremila affezionati spettatori. Qui io mi sono ambientato perfettamente, ho incontrato mia moglie Annalisa, anche lei una sportiva impegnata in una associazione sportiva dilettantistica che promuove discipline circensi quali il cerchio, la pole dance e gli esercizi con i tessuti. Mi sento una persona fortunata, e non mi vedo a fare altro nella vita che il rugby, la mia passione diventata il mio lavoro. Un’occupazione che mi consente, seppur impegnandomi sempre nei fine settimana, di dedicare tempo alla mia famiglia, magari più di quanto riesca alle maggior parte delle persone che fanno una vita più regolare (e qui non si può che concordare, n.d.r.). Anche l’ambiente societario attuale delle Zebre mi dà serenità. Un episodio in particolare mi ha molto colpito: nel 2017, quando grazie al deposito in tribunale del concordato “in bianco” è stato scongiurato il fallimento, ricordo che il nuovo amministratore Andrea Delledonne, appena nominato dalla Federazione, venne nello spogliatoio a parlare chiaramente a noi giocatori e allo staff tecnico, illustrandoci senza mezzi termini la reale situazione. Un atteggiamento serio e responsabile, che ci ha dato fiducia, pur nelle difficoltà, e fatto sentire parte attiva del progetto di salvataggio.”

Chi sono i tuoi modelli di riferimento in campo rugbistico?
Ancora stento quasi a credere che personaggi di primo livello, dal punto di vista umano e sportivo come Sergio, Leo e Alessandro (Parisse, Ghiraldini e Zanni; siamo consci che la precisazione è quasi superflua, n.d.r.) siano oggi dei compagni in Nazionale, dopo averli a lungo visti da lontano. I nostri senatori sono certamente dei punti di riferimento. Nel mio ruolo, oltre a Ghiraldini e Jimenez di cui abbiamo già parlato, ammiro l’irlandese Keith Wood e il neozelandese Keven Mealamu; e poi gli All Blacks in attività Codie Taylor e Dane Coles”.

Che differenza c’è tra l’Olli del 2016 debuttante in nazionale, intervistato da Francesco Volpe sul Corriere dello Sport e protagonista del racconto di Amedeo Santicchia “Il cicciottello” su www.attualita.it, e quello di oggi?
Mi sento molto cambiato, soprattutto essendo freschissimo neo-papà. Il mio percorso sicuramente ha avuto nel 2016 un momento cruciale. Con la chiamata in azzurro da parte di Jacques Brunel e il debutto a Marzo nel 6 Nazioni a Dublino, a cui ha fatto seguito la partecipazione al tour estivo in U.S.A. e Canada sotto la nuova guida di Conor. Poi a Ottobre, in un momento difficile a livello personale, ho perso il controllo nel match di Champions Cup con il Connacht. Il morso all’avversario mi è costato, come si sa, 4 mesi di squalifica; il processo sportivo a Londra è stata un esperienza molto particolare: essere comunque un imputato, in una sede così ufficiale, mi ha messo molta soggezione e disagio. Poi ho avuto il tempo per riflettere sul mio errore, che non ho mai negato. Con il senno di poi, è stata un’esperienza che ha contributo moltissimo alla mia maturazione e alla crescita professionale e umana. La nuova convocazione del C.T. O’Shea per i test match di Novembre 2017 mi ha fatto comprendere che forse tutto ha un senso nella vita…”.

La narrazione, per ora, si ferma qui. Per chiudere, ecco una testimonianza di prossimità del suo familiare Massimo, che è stato il sensale di questa intervista:
Il mio ricordo indelebile è quello di un ragazzino già bello grosso in tenera età, un cicciottello appunto, sempre in bermuda e magliettina, con pioggia, freddo o con qualsiasi clima, un po’ solitario e silenzioso, ma sempre sorridente. Insomma, adesso che ci penso, una specie di Maori bianco, nato a Roma, zona Corso Francia. Forza Olli, hai saputo trovare, alla grandissima, la tua strada dando continuità alle passioni di tuo padre Federico che, ne sono certo, sarebbe impazzito di gioia a vederti adesso ottenere dei risultati incredibili”.

Salutiamo così Oliviero, “parmigiano romano” ormai abbastanza stagionato, ma fresco di considerazione da parte dello staff della Nazionale maggiore. A lui i migliori auguri per la sua carriera e per il suo avvenire.
Ai lettori, vista la premessa con cui questa conversazione si è aperta, diamo ottimisticamente appuntamento su queste pagine tra una ventina d’anni per un’ulteriore intervista, stavolta con Filippo Fabiani, casomai dovesse seguire le orme paterne…

 

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