Roma, 24 gennaio 2019 – Nel rugby un singolo elemento non è determinante per il rendimento della sua squadra. Utile spesso. Anche decisivo, ma determinante no.
Il rugby è sport corale per definizione. Da solo riesci a concludere poco. Hai sempre bisogno del sostegno dei compagni, se non altro in senso strategico. Insomma un giocatore non ha mai fatto una squadra. Forse, anche, perché in campo si gioca in 30. Una folla che intasa gli spazi, che permette di avanzare solo attraverso un coordinamento collettivo. Da solo non ce la fai. L’assolo individuale è possibile, ma in modo occasionale non programmatico.
Nel calcio, invece, questo è possibile. Tecnica e talento fisico, l’individualità e la personalità, possono essere determinati e consentire ad una squadra successi strepitosi e continuativi. Gli esempi sono tantissimi.
L’ultimo, sotto gli occhi di tutti, è quello di Cristiano Ronaldo. Le squadre con cui ha militato, hanno a lungo dominato ogni scenario in cui erano impegnate. Ed in paesi e tipo di calcio totalmente differenti: dal natio Portogallo, all’Inghilterra, alla Spagna ed ora in Italia. Ha vinto tutto e di più. La Juventus da quando CR7 è sbarcato a Torino è stata capace in Campionato di aggiudicarsi 18 partite su 20, dominando ogni altro tipo di competizione in cui è impegnata, Coppa Italia, Coppa Campioni e Supercoppa Italiana.
Il suo contributo sempre determinante in reti ed assist.
Insomma: un uomo, una squadra.
Ma Ronaldo non è l’unico calciatore ad essere stato Uomo-Squadra con la U maiuscola. Forse si può anche considerare il migliore per la perfetta combinazione fra atleticità tecnica, generosità ed intelligenza tattica ed agonistica. Ma i vari Maradona, Di Stefano, Messi, Pelè, hanno fornito nelle squadra in cui hanno militato, il massimo dei successi apportando un contributo determinate e decisivo. Sicuramente i cultori del calcio sono in grado di aggiungere altri nomi a questa schiera di supercalciatori – come Puskas, Cruyff, Ibrahimovic, Totti, ed altri – ma si tratta di una discussione che non modifica l’assunto di base. Nel calcio un uomo può fare una squadra, una grande squadra.
Nel rugby esiste, invece, una regola contraria.
Ci si riferisce, per esempio al grande Jonah Lomu, il giocatore neozelandese possessore di una potenza irresistibile che, ad un certo momento, giocava con un rene trapiantato, per poi morire prematuramente. Lala degli All black era alto m.1,96 e pesava 120 kg, con il pallone in mano, correva ad una velocità da 10” netti sui 100 metri. Nella semifinale contro l’Inghilterra ai mondiali sudafricani del 1986, realizzò la meta del successo neozelandese abbattendo sulla sua strada ben 4 giocatori britannici. In finale però il titolo iridato fini sulle maglie dei sudafricani per la gioia di Nelson Mandela.
Questa lunga storica premessa per introdurre le ragioni per cui alla vigilia dell’esordio azzurro nel Torneo delle Sei Nazioni di rugby, in programma sabato ad Edimburgo, la presenza di Sergio Parisse, in buona forma atletico-mentale, induce al sogno che la Nazionale italiana possa ripetere al suo esordio l’impresa storica di 20 anni fa quando gli azzurri, allo Stadio Flaminio di Roma, alla loro gara di esordio nel Super Torneo Europeo, riuscirono a superare la Scozia detentrice del Titolo del Torneo delle 5 Nazioni con tutte vittorie. Un successo storico sul quale il rugby italiano ancora campa di gloria.
Ogni regola ha la sua eccezione.
Sergio Parisse, il capitano azzurro, figlio di Sergio sr. campione italiano di rugby con l’Aquila Rugby di qualche anno fa, emigrato in Argentina, è il soggetto che fa eccezione.
Come Ronaldo, ha un impianto fisico eccezionale. È più alto del portoghese di Funchal, quasi due metri x oltre 110 chili. Come Ronaldo potrebbe essere il numero uno di qualsiasi sport avesse praticato, tale è la capacità atletica e la coordinazione motoria. Con la palla in mano fa cose da funambolo. E la sua vis agonistica e impareggiabile. Ha leadership e coraggio leonino. Legge la partita come fosse lui l’allenatore. Ed in realtà in campo è proprio lui l’allenatore come conviene al captano nel rugby.
Come Ronaldo gli anni per lui sono passati ma certamente non li dimostra perché è un atleta che sa sacrificarsi nell’umiltà della preparazione fisica.
Ha vinto finora tutto quello che un rugbysta italiano potesse vincere. Non certo in Italia ma in Francia, a Parigi, con la maglia dello Stade Francais.
Come Ronaldo anche l’età, 36 anni che non sono un handicap, quando la testa ed il fisico tengono, ma un’altra qualità in più: l’esperienza…
Se si è generosi il rugby non perdona neanche i superdotati. Sicchè qualche infortunio grave il capitano azzurro, primo nella storia per presenze e capitanato, lo ha dovuto accusare. Ma come, sempre ha saputo recuperare ed in allenamento si mostra al massimo in grado di ricondurre l’Italia che anche per le sue defaillance, manca dal Sei Nazioni da due anni e 10 partite tutte perse.
O’Shea ha ringiovanito molto i ranghi. Ha messo su una squadra competitiva cui manca solo e soltanto il Capitano. Gli azzurri lo hanno ritrovato. Parisse ed un gruppo di giocatori che finalmente, tramite, le imprese della Benetton in Europa, sta dimostrando che è veramente in grado essere molto vicino al miglior rugby in Europa..
Il giorno giusto potrebbe essere proprio sabato 2 febbraio alle 15.15 in quel di Murrayfield ad Edimburgo contro la Scozia “Ventanni dopo….”