Roma, 29 ottobre 2023 – Ventotto anni dopo è ancora il Sudafrica a conquistare il titolo mondiale contro la Nuova Zelanda.
La finale di sabato 28 ottobre ha consegnato agli Springboks la Webb Ellis Cup per la quarta volta, che significa primato assoluto di titoli.
Nella settimana che ha preceduto l’epilogo si è fatto molto ricorso, quasi abusandone, alla similitudine cinematografica di un “Invictus atto secondo”.
Per gli All Blacks la sconfitta di un solo punto è amara e ha piuttosto il sapore ripetitivo di un “giorno della marmotta”.
Non puoi dirti campione del mondo se non batti gli Springboks, dicevano laggiù in Africa australe nell’era dell’apartheid e della conseguente esclusione dalle competizioni internazionali.
Così è stato nel 1995 ed anche ieri, confermando questo vecchio adagio.
Eppure gli All Blacks avrebbero meritato il successo, al culmine di un campionato vissuto in crescita e esprimendo il gioco più spettacolare.
Anche in una finale condizionata in modo determinante dalla sanzione disciplinare, arrivata al 28’ del primo tempo, per il capitano neozelandese Sam Cane.
Per un placcaggio alto Cane ha ricevuto con un cartellino giallo, poi convertito in rosso.
Una sanzione accessoria allo sfortunato Cane, che dopo il 2015 ha raccolto la pesante eredità del suo predecessore Richie McCaw, cioè la dote di due Coppe del Mondo consecutive.
Impossibilitato a migliorare, Sam Cane chiude insoddisfacentemente la sua esperienza con il terzo posto del 2019 e il secondo di questa edizione.
La sorte è stata benevola invece con il capitano sudafricano Siya Kolisi, che ha compiuto un miracoloso recupero da un grave infortunio, partecipando alla Coppa del Mondo e portandosela a casa per la seconda edizione consecutiva.
E per giunta avendo ricevuto anche lui nella finale, per un fallo analogo, un cartellino giallo però rimasto tale, limitando la sua espulsione temporanea ai previsti dieci minuti.
Nonostante gli oltre 50 minuti in inferiorità numerica, sono stati gli All Blacks a costruire caparbiamente occasioni.
E ad andare in meta due volte, la prima con Aaron Smith (annullata per una irregolarità all’inizio dell’azione) e poi con Beauden Barrett.
Mo’unga aveva segnato nel frattempo due calci di punizione. Ma non è bastato.
Pesano nel computo finale, per la Nuova Zelanda, la trasformazione fallita da Mo’unga e il calcio di punizione mancato da Jordie Barrett.
Invece la regolarità di Andrè Pollard, che ha marcato tutti e quattro i piazzati a disposizione, vuol dire titolo mondiale al Sudafrica.
Sta tutta qui l’essenza della Coppa che gli Springboks hanno così fatto propria, pur con la macchia della sconfitta con l’Irlanda nella fase a gironi.
Ottenendo, come nel resto del torneo, il massimo risultato con il minimo sforzo (si fa per dire, in senso relativo, si tratta sempre di rugby!).
Nota finale di cronaca, il terzo posto conquistato di misura dall’Inghilterra per 26-23 sulla sempre volitiva Argentina.
Un premio eccessivo per gli inglesi, la meno accreditata tra le squadre di punta del rugby europeo, che esce scornacchiato dalla Rugby World Cup 2023, iniziata invece con le grandi ambizioni francesi e irlandesi.
Si chiude qui il resoconto del Mondiale del bicentenario della palla ovale.
Prossimo appuntamento in Australia nel 2027.