Atene, 14 febbraio (ansa) È innegabile: i ritrovamenti di scheletri abbracciati da secoli non smettono mai di emozionare perché sembrano confermare che, quando l’amore è davvero per sempre, è l’unico capace di unire una coppia oltre la morte. Sembra questo il caso dell’uomo e della donna i cui scheletri, ancora teneramente abbracciati dopo quasi 6000 anni, ovvero dall’epoca del Neolitico, sono stati rinvenuti ieri durante scavi presso la Grotta di Alepotrypa (il “Buco della volpe”), a ovest del villaggio di Mani, nel Peloponneso meridionale. Non si sa ancora come e perché siano morti, ma di certo sappiamo che si amavano.
Lo straordinario ritrovamento, che sinora ha un solo equivalente in Europa negli ‘amanti di Valdaro’ – due scheletri di una giovane coppia risalenti al Neolitico, tumulati faccia a faccia e abbracciati, ritrovati in una necropoli scoperta nel 2007 nei pressi di Mantova – è stato annunciato ieri dalla Sovrintendenza Archeologica ellenica quasi in coincidenza con la festa di San Valentino, il patrono degli innamorati.
Un analogo ritrovamento di una coppia, ma di epoca molto più recente, è avvenuto lo scorso settembre nella Cappella di Saint Morrell nel Leicestershire, in Gran Bretagna, dove sono stati rinvenuti due scheletri, risalenti al XIV secolo, che dopo 700 anni si tenevano ancora mano nella mano. La sepoltura di Mani, che sembra non abbia subito violazioni, è stata trovata presso il luogo dove erano stati interrati un altro uomo e un’altra donna, rinvenuti accovacciati in posizione fetale. Le sepolture contenevano anche punte di freccia rotte. Grazie al metodo del Carbonio 14, gli scheletri della coppia abbracciata sono stati datati intorno al 3800 a.C., mentre l’analisi del Dna ha confermato che i resti appartenevano a un maschio e a una femmina. Entrambe le sepolture fanno parte di una necropoli neolitica nell’area della grotta di Diros, dove gli scavi hanno già riportato alla luce tombe risalenti al 4200-3800 a.C. In base alle ricerche e alle analisi, sembra che la grotta ed i suoi dintorni siano stati utilizzati come residenza e come necropoli dal Neolitico antico (7000-5500 a.C.) sino al Neolitico recente (4200-3500 a.C.). Quindi, verso il 3200 a.C., un devastante terremoto avrebbe fatto crollare l’ingresso della grotta, sigillando all’interno coloro che vi abitavano.
Gli scavi nell’area ebbero inizio in seguito ad una scoperta fortuita fatta dagli speleologi Yiannis e Anna Petrocheilos nel 1958 e sono ripresi l’anno scorso sotto l’egida dell’Eforato di Paleoantropologia delle antichità, guidato da George Papathanassopoulos, e della Società speleologica della Grecia settentrionale, che si avvalgono della collaborazione di esperti greci e internazionali.
Commentando la scoperte, Papathanassopoulos ha ricordato che già dalla fine degli anni Settanta le visite turistiche alla grotta sono state proibite e, nello stesso periodo, sono stati avviati scavi più approfonditi. Presso il sito archeologico è stato realizzato un piccolo museo nel quale sono in mostra molti dei tantissimi reperti sinora rinvenuti. “Entrambe le tombe riportate alla luce sono in ottime condizioni – ha detto Papathanassopoulos -. Il tipo di sepoltura in posizione fetale è comune nell’epoca neolitica, ma la doppia inumazione con l’abbraccio è uno dei più antichi esempi conosciuti e, quando avremo finito di lavorarci, anch’essa sarà esposta nel museo”.