Sulla banda della Magliana…a Roma non grandina ma diluvia!

Roma, 16 gennaio – Questa la premessa al recente libro  “Mai ci fu pietà: dalla Banda della Magliana a Mafia Capitale” di Angela Camuso (Editori Riuniti, 440 pagine, 15 euro). Una edizione ampliata e aggiornata del precedente e centrato anch’esso sulla famigerata banda  criminale.

La Camuso, una giornalista inguaribilmente coraggiosa, controcorrente, certamente scomoda….

Questa la premessa: “……..Una vicenda criminale che non smette di porre interrogativi inquietanti e le cui propaggini arrivano fino ad oggi, come svelato dall’inchiesta Mafia Capitale sulla nuova cupola capeggiata da Massimo Carminati. È la storia della banda della Magliana, un gruppo nato alla fine degli anni Settanta e composto ai suoi primordi da malavitosi di borgata, figli maledetti del popolo e della miseria ma scaltri abbastanza per mettersi al servizio di poteri occulti, della Mafia e delle frange eversive che miravano a destabilizzare il Paese. Scritto con il ritmo narrativo del romanzo e con una rigorosa aderenza ai fatti, questo libro di Angela Camuso ripercorre le tappe di un sodalizio che ancora ai nostri giorni occupa un posto di rilievo nell’olimpo della malavita imprenditoriale. L’autrice, che ha attinto per il suo lavoro a centinaia di documenti giudiziari, compresi quelli di Mafia Capitale, fa parlare i protagonisti senza omettere nomi, luoghi e circostanze in una sequenza agghiacciante di delitti e misteri”.

Un libro  basato prevalentemente su documenti dell’accusa  anziché su risultanze processuali e sentenze definitive. Un enorme lavoro di documentazione con centinaia di verbali di interrogatorio e di informative di Polizia Giudiziaria che è stato trasformato in un romanzo. … Da Franchino er criminale, primogenito di Magliana (da pag. 21) ai contatti con Cutolo e il Prof. Semerari ( da pag.37), dal conflitto de “Er Negro”, alias Giuseppucci,  con i “Pesciaroli”, alle vicende Buscetta, Abbruciati, Pippo Calò; dai grandi “cravattari” romani con in testa Memmo Balducci (pag.66) alle eclettiche attività giunte sino ad oggi di Flavio Carboni targato P2 (da pag 71); dalle sentenze dell'”Ammazzasentenze” Magistrato Carnevali (da pag. 88) alle criminali imprese di Danilo Abbruciati (da pag.107), al caso Moro (da pag.118), all’omicidio del giornalista Mino Pecorelli (da pag.123),  al rapimento di Emanuela Orlandi (da pag.129), sino alla misteriosa morte, nel 2012, di Angelo Angelotti, il bandito che tradì Renatino De Pedis (da pag.155), procedendo con le strepitose imprese del banchiere della Magliana Nicoletti (da pag.182) fino alle recenti imprese del clan Fasciani di Ostia (da pag.221) alle fantascientifiche imprese dell’Imperatore Nero, alias Massimo Carminati……Per quanto concerne la banda Fasciani, nei giorni scorsi la richiesta della Pubblica Accusa per 18 affiliati per 200 anni di carcere….vedremo.

Affermo con convinzione che copie di questo libro dovrebbero essere distribuite da parte dello Stato a tutti gli operatori di Polizia Giudiziaria quale memoria di quanto accaduto e quale linea guida per le indagini.

Quel che colpisce è l’enormità di informazioni….. che attestano la gran mole del malaffare esistente…..Si passa dai piani bassi del mondo dei faccendieri per salire ai quelli medio alti sino a giungere alla sommità del pianeta mafioso……Si narra di  modesti  imprenditori, sconosciuti nel panorama criminale, mai condannati, che hanno fatto soldi perché presentati a un soggetto legato a un commerciante sporco e questi vicino a capetti e questi ultimi a caporioni di mafie sicule, calabre, campane per giungere alla benedizione affaristica dei capoccioni di Roma Capitale ben protetti dalla politica indecente…

Infatti, come scritto nel bellissimo articolo de “L’ESPRESSO” del lontano 6/12/2012, leggiamo: “”Le istituzioni per anni non sono riuscite a scardinare questo sistema. Ha pesato anche un deficit culturale: l’incapacità di riconoscere la manifestazione di questo differente modo di essere mafia e imporre il dominio sulla città. Il reato di associazione mafiosa non è stato mai riconosciuto in una sentenza: i giudici hanno sempre stabilito che a Roma ci fossero trafficanti, rapinatori, spacciatori ma non vere organizzazioni criminali. È questo il clima che serve ai clan per prosperare. E non appena i giornali hanno fatto trapelare la possibilità che alla guida della Procura della Repubblica capitolina potesse arrivare Giuseppe Pignatone, con decenni di esperienza nella lotta alle cosche calabresi, i boss hanno deciso di imporre la pace. I delitti sono cessati all’improvviso: negli ultimi dodici mesi ci sono stati solo due omicidi connessi alla criminalità, entrambi però sul litorale, lontanissimo dal centro. Niente più omicidi ma solo affari svolti in silenzio con l’aiuto della politica sostenuta dalla mafia. La scorsa settimana, continua “L’ESPRESSO”, il Procuratore Pignatone partecipando ad un convegno organizzato nell’ambito del salone della Giustizia ha detto: “Roma è una città estremamente complessa perché mentre a Palermo e Reggio Calabria tutto viene ricondotto alla mafia, nella Capitale i problemi sono tanti. Credo che da un lato non bisogna negare, come accaduto a Milano, che ci sia un problema di infiltrazioni mafiose..” Poi, Pignatone,  al Salone della Giustizia ha aggiunto: “A Roma c’è un rischio: l’inquinamento del mercato e dell’economia per l’afflusso di capitali mafiosi. Facciamo appello agli imprenditori perché stiano attenti: diventare soci di un mafioso significa prima o poi perdere l’azienda. Nella Capitale è diffusa la corruzione ed è altissima l’evasione fiscale“.

Quel che conta in primis è la prevenzione! Indolenza? Paura ed interessi che hanno fatto si che ci volesse a Roma proprio la presenza del grande Procuratore Pignatone, che ha imposto di… “aprire i cassetti”…??  A questo ci da una risposta il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone, che nei giorni scorsi ha sostenuto:  “Le persone perbene non riescono a fare carriera all’interno della pubblica amministrazione. Spesso le persone perbene all’interno della pubblica amministrazione sono quelle che hanno meno possibilità di fare – dice Cantone – spesso fanno meno carriera. Spesso sono meno responsabilizzati perché considerati per bene”. Secondo l’autorevole Magistrato Cantone è ora di recuperare parole che non si usano nel nostro mondo del lavoro. Una è la parola “controllo”.

Su questa testata più volte abbiamo sostenuto la circostanza del perché, oggi, tutti si lamentano che in Italia non funziona la pubblica amministrazione con i suoi uffici centrali o distaccati; perchè la Giustizia è lenta mentre la sanità non va benissimo e la scuola e le Università sono carenti? Perché la prevenzione di Polizia è insufficiente… Ribadiamo il concetto che da tempo la politica ha occupato tutti gli spazi e la tecnica fa poco o nulla d’iniziativa per migliorarsi, sempre in attesa dell’imput della politica sul da farsi, però nei termini indicati dalla politica stessa. Diciamo che questo è molto grave perché facendo così mettiamo a rischio la vita e la sicurezza dei cittadini. Si ripristino i vecchi criteri, soprattutto si dia spazio al merito, ormai col “piqquattrismo” degli ultimi venti anni diventato una Chimera, e si vedrà un sostanziale miglioramento del quadro generale. Sia certamente la politica a dettare le linee strategiche, ma dovrà essere la tecnica ai vari livelli di responsabilità a fare ciò che le compete.

Come una volta, in modo autonomo, incisivo e determinante.

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