A capo della banda, due fratelli di origine partenopea. L’organizzazione era gerarchizzata e con “turni di lavoro”, impiegando nello spaccio, pusher e giovani vedette.
Le indagini dei Carabinieri hanno messo a fuoco le varie responsabilità, accertando e documentandone l’attività. I pusher erano persino dotati di telefoni cellulari dedicati, con i quali inviavano ai vari clienti messaggi pubblicitari firmati “gli amici di Finocchio”, aggiornandoli sulla disponibilità di stupefacente, cocaina, o su offerte “promozionali” per nuovi prodotti.
Al fine di rendere più difficoltosa l’attività investigativa e repressiva delle Forze dell’Ordine, lo smercio era organizzato in modo tale da risultare “itinerante” e l’organizzazione prevedeva anche l’assistenza legale dei propri sodali in caso di arresto durante l’attività di spaccio. Per “invogliare alla produzione”, i guadagni per gli spacciatori erano direttamente proporzionali alle vendite e al ruolo rivestivo in seno all’organizzazione.
A fine giornata, il ricavato dell’attività di spaccio veniva poi consegnato ai due promotori che, in caso di rendicontazione errata, infliggevano vere e proprie punizioni corporali.