LA “BOCCA” DI BOCCA SPUTA VELENO CONTRO I CARABINIERI

 

Sull’Espresso, il brillante giornalista Giorgio Bocca, torna a tuonare contro l’Arma dei Carabinieri con un suo articolo a firma “”Quanti amici ha Totò Riina”.

 

 

 

Scrive nel suo articolo   il Cavaliere di Gran Croce (massimo grado di onorificenza della Repubblica Italiana) Giorgio Bocca: L’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando, il capo siciliano della mafia Totò Riina, lo scrittore della sicilitudine Leonardo Sciascia,il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa ucciso dalla mafia perché la conosceva bene, Massimo Ciancimino il figlio del sindaco mafioso di Palermo don Vito e altri esperti della onorata società hanno spiegato invano agli italiani che il problema numero uno della nazione non è il conflitto fra il legale e l’illegale, fra guardie e ladri, fra capi bastone e le loro vittime inermi, ma il loro indissolubile patto di coesistenza. L’essere la mafia la mazza ferrata, la violenza che regola economia e rapporti sociali in province dove la legge è priva di forza o di consenso.” E continua “Una ragione del comportamento speciale della più efficiente polizia italiana verso la mafia c’è ed è evidente: i carabinieri, come la mafia, non sono qualcosa di estraneo e di ostile alla società siciliana, fanno parte e parte fondamentale del patto di coesistenza sul territorio, di controllo del territorio, condiviso con la Chiesa e con la mafia. In ogni paese siciliano accanto alla Chiesa e al parroco c’è una caserma dei carabinieri e una cosca mafiosa” concludendo “I carabinieri, specie quelli che arrivano da altre provincie, sanno che la loro vita è appesa a un filo che un colpo di lupara può raggiungerli in ogni vicolo, in ogni tratturo. Non è naturale, obbligatorio che si creino delle tacite regole di coesistenza o di competenza?”

 

A leggere queste parole, verrebbe voglia di chiedersi a cosa è dovuto l’astio di Giorgio Bocca contro l’Arma dei Carabinieri. Forse, alla veneranda età di 89 anni,  riemerge qualche vecchio ricordo, magari per una contravvenzione pagata.

 

Eh, si, perché già nel numero di aprile 2006, questo periodico intervenne quando il grande Giorgio Bocca attaccò i Carabinieri per la vicenda di Sassuolo, ove i Militari dovettero fare uso della forza per vincere l’aggressione e resistenza di un uomo. Bocca, per descrivere la vicenda, scomodò l’universo, persino lo tsunami. Peccato che non disse che i cittadini tutti, Sindaco in testa, si schierarono con i Carabinieri.

Nella circostanza, invitammo Giorgio Bocca a . . . chiudere la Bocca! (vedi articolo “TUTELIAMO LE FORZE DELL’ORDINE DA UNA “BOCCA” DENIGRATRICE” nella cronaca)

Oggi, rendendoci conto che con l’età alcune cose si ricordano ma molte altre vengono dimenticate, vorremmo rammentare al Cavaliere di Gran Croce Bocca, un suo articolo, scritto il 4 settembre 1982, su l’ultima intervista dell’Uomo che egli si permette di accomunare a delinquenti: Il Generale dei Carabinieri, poi Prefetto, Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Riportiamo alcuni passi di quell’articolo:

“Ho incontrato il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Palermo, il sabato 7 agosto. Credo sia stata la sua ultima intervista. Nelle sue parole comunque, c’era qualcosa di definitivo, come una scommessa totale, finale. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa l’ha persa e l’ha fatta perdere alla sua giovane moglie che del resto era decisa a condividerne i rischi e la sorte. E’ stata più forte la mafia, come si poteva prevedere, come nei limiti dell’educazione cercai di dirgli quel giorno quando ci trovammo a tavola, sua moglie lui ed io in un noto ristorante a mare, tre foresti seguiti dagli occhi dell’establishment. Credo di avergli detto proprio così: generale, lei è stato qui a Palermo per sei anni, dal ’67 al ’73. Lei è convinto di conoscere la mafia. Ma come può pensare che le lascino mettere a nudo i legami tra la mafia e il potere politico? Lei generale li ha letti, no, gli atti dell’antimafia?” e poi “Ma i tempi sono cambiati, la mafia uccide tutti e il generale Dalla Chiesa lo sapeva. “Generale, se volessero potrebbero ucciderci tutti e tre a questo tavolo”. “Spero di no diceva lui non sarebbe cortese da parte mia averla invitata qui a Palermo. Ma, vede, noi l’abbiamo messo sul conto, io e lei”. E guardava la moglie, crocerossina bionda con gli occhi azzurri che sorrideva devota. Sì, anche lei l’aveva messo nel conto.” Ed ancora “ Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa era un uomo difficile da giudicare proprio perché in certo modo ambiguo: carabiniere, fratello di carabinieri, figlio di carabinieri, un figlio della piccola aristocrazia piemontese abituata da secoli al servizio delle armi” prosegue “Perché allora un uomo così esperto, così scaltro aveva accettato la scommessa impari con la mafia? Perché fingeva di non capire ciò che il cronista arrivato da Milano su suo invito continuava a ricordargli: ma generale, lei chiede i pieni poteri sui prefetti, sui questori; lei vuole coordinare la lotta alla mafia, controllare le banche, entrare nel commercio della droga. Ma generale non lo vede che questa grande città vive della droga? Non lo sa che i mafiosi sono nel palazzo?” e Bocca conclude  “La verità è che Dalla Chiesa, l’uomo forte, il generale di ferro, lo sterminatore di terroristi, è stato mandato a Palermo allo sbaraglio.” “Ma chi lo ha mandato a Palermo doveva pur saperlo che lo mandava a rischi supremi: di pessime figure e di morte.” “Dalla Chiesa e sua moglie vanno alla sepoltura. La mafia resta.”

 

 

Ci sembrerebbe di capire, che quel Piemontese, fosse stato avvisato proprio da quello stesso  Bocca che oggi dice “I carabinieri, specie quelli che arrivano da altre provincie, sanno che la loro vita è appesa a un filo che un colpo di lupara può raggiungerli in ogni vicolo, in ogni tratturo” ma quel Carabiniere  con gli alamari cuciti sulla pelle, non l’ha ascoltata ed è rimasto li a combattere la mafia, sacrificando se stesso ed ancora di più, la sua giovane moglie!

 

Per il resto, basta citare i 33 militari dell’Arma caduti in Sicilia, nell’adempimento del proprio dovere, ma questo a Lei non importa.

 


Di “tacito”, vorrei insegnarLe il precedente
motto dell’Arma dei Carabinieri: “Usi obbedir tacendo, e tacendo morir”.

 

Si, fedeli a  questo motto, i Reali Carabinieri, hanno versato il loro sangue per l’Unità d’Italia, in Italia e all’estero, meritando il plauso di tutte le Nazioni, assicurando ovunque e  sempre,  l’ordine e la sicurezza pubblica, anche la Sua, Dottor Giorgio Bocca.

Leggendo su internet, apprendo che Lei “Nei primi mesi del 1945, divenuto responsabile dei tribunali del popolo (o partigiani), in qualità di giudice nel processo a carico del  (..) ne firmò la condanna a morte.”

 

Forse, continua a pensare di essere ancora Giudice, ma non mi risulta che sia mai stato nominato tale dal Ministero della Giustizia, con tutte le sue formulazioni modificate da ogni Governo.

 

Vede, vorrei dirLe che forse, accanto a migliaia di Uomini che quotidianamente rischiano la loro vita per servire anche in quella martoriata terra la Nazione,  ci saranno uomini che possono sbagliare, ma come già scritto nella precedente occasione, questo deve essere giudicato dalla Magistratura (quella togata e riconosciuta dalla Repubblica Italiana e non dal tribunale del popolo!) e dall’inchiesta interna dell’Arma dei Carabinieri, parola che per quello e come ha scritto, Lei non è nemmeno degno di pronunciare, perché la valutazione disciplinare sui comportamenti dei Carabinieri, è cosa seria a differenza del lusso concesso ad alcuni, di poter scrivere e parlare, senza controllo,  di cose che ignorano.

 

 

Il 2 giugno di quest’anno, io, insignificante uomo, sono stato insignito dell’onorificenza di Ufficiale al Merito della Repubblica (le varie motivazioni, e senza falsa modestia ritengo che ci siano,  sono agli atti della Presidenza). Lei ha il massimo dell’onorificenze Italiane, non so per quali suoi grandi meriti.

Leggendo ciò che Lei scrive, personalmente mi viene voglia di restituire tali riconoscimenti pensando quanto Le è stato concesso!

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