I clan della mafia di Foggia, denominata “Società”; un’organizzazione criminale che, dopo essersi riciclata anche attraverso l’eliminazione dei vecchi boss di origine cutoliana, cioè già sodali del superboss napoletano Raffaele Cutolo, che negli anni settanta “battezzava” gli affiliati alla sua “Nuova Camorra Organizzata” in quel di San Severo di Foggia, da lunghi anni è entrata a pieno titolo nel gran panorama delle mafie di Puglia.
Sono le vicende di violenza e sangue quelle raccontate dal Procuratore di Lucera, Domenico Seccia, nell’interessante e bel libro “LA MAFIA SOCIALE” (“edizioni la meridiana”, luglio 2013). Questo libro, introdotto da una prefazione di Raffaele Cantone, Pubblico Ministero Antimafia “di punta” di Napoli (in questi giorni nominato dal Governo “Autorità Nazionale Anticorruzione”), attualissimo, come il precedente, “La mafia innominabile” (stessa casa editrice, 2011), ci racconta di una mafia di cui nessuno parla, quella di Capitanata (la Provincia di Foggia) “Perché – come scrive Seccia – qui non vi è stata alcuna rivoluzione dei lenzuoli. Qui si continua a dire che non vi è alcuna infiltrazione mafiosa. Tutti dicono “qui” e non “da noi”, e forse anche questo vuol dire qualcosa. La mafia rende tutto cenere…..Dove vi è cenere non vi è più nulla. Non c’è Stato. Non c’è sviluppo. Tutto è così come è. Immutabile“. Dalla lettura del libro, attraverso citazioni di sentenze a seguito di processi, stralci di interrogatori, lettere dei boss dal carcere, intercettazioni, apprendiamo le modalità con cui le principali famiglie della “Società” foggiana abbiano costruito il loro predominio criminale.
C’è anche il racconto del pentito Antonio Catalano della “lista”, come chiamata la posizione del comando del clan più potente, il collettore economico della mafia foggiana, che spiega la causa della morte violenta di quanti hanno provato ad impossessarsene imponendo la loro leadership criminale. Sono riportate le storie di chi è stato trucemente ucciso per la sua vicinanza agli ambienti mafiosi, ma anche quella di chi non ha voluto piegarsi alla logica del sopruso ed è stato costretto a doverne fare comunque i conti. Ora, per maggiore chiarezza, per quanti hanno la pazienza di leggere, descriviamo brevemente il panorama criminale della Puglia. Bisogna in primis sgomberare il campo da un equivoco che induce a ritenere che la mafia pugliese si identifichi nella “Sacra Corona Unita”.
L’equivoco, che trova giustificazione storica nella circostanza che tale organizzazione è stato il primo fenomeno criminale assimilabile al concetto di Mafia in Puglia, è superato da indagini e molte sentenze di condanna che circoscrivono la sua operatività all’area salentina e jonico-meridionale della Puglia, cioè le province di Brindisi, Taranto e Lecce.
La caratteristica della criminalità organizzata di Bari, invece, si manifesta con una pluralità di sodalizi di tipo “clanico”(da clan), ciascuno imperante in un ambito territoriale circoscritto che, nella città di Bari, corrisponde ai quartieri cittadini.
Tale organizzazione, oggi, nel capoluogo pugliese, grazie all’azione di Polizie e Magistratura, presenta disomogeneità e mutevolezza, per mancanza di un vertice aggregante capace di imporre strategie, decisioni, regole di condotta. Quel che accomuna tutte le mafie pugliesi che, come scritto, sono scollegate da qualsivoglia strategia unitaria, è che raramente si manifestano con fatti eclatanti preferendo, a fattor comune, una politica di “immersione” per favorire gli “affari”, del tipo di quella attuata dalla più temibile “Cosa Nostra”.
Ma, aspetto più importante, è il risvolto nefasto che queste congreghe criminali hanno sulle popolazioni da nord a sud della regione. La necessità di predisporre misure forti nasce proprio dal fatto che se ancora non proprio raggiunto il consenso sociale, la strategia di ricerca ha prodotto una sorta di assuefazione e disinteresse della gente alle manifestazioni criminali con la sostanziale accettazione di comportamenti delittuosi dei quali la gente continua ad essere vittima. E questo comporta il pagamento del “pizzo”, quale prezzo della tranquillità, o il prestito usurario, preferibile alla chiusura dei canali bancari. Ciò dovrebbe, in verità, preoccupare fortemente la politica, purtroppo da decenni disinteressata a tali problematiche perché protesa a favorire interessi che con il bene sicurezza dei Cittadini nulla ha a che vedere.
Infatti, a dimostrazione di ciò, sappiamo che è stato soppresso il Tribunale di Lucera, in comprensorio situato nel centro degli interessi della mafia foggiana, di cui è ancora per poco Procuratore della Repubblica Domenico Secci, l’autore del libro di cui trattiamo, e questo perchè rientrante tra gli Uffici Giudiziari subprovinciali soppressi dalla nuova Legge-delega.
Sì, possiamo, alla luce di tutto ciò, motivatamente affermare che questa è un’altra vera vergogna nazionale! Proprio così, in quest’Italia dei primati negativi ed oggi anche dei…proclami….