Roma, 07 novembre 2019 – Alle prime ore dell’alba, i Carabinieri del Comando Provinciale di Agrigento, a conclusione dell’operazione “Ponos” sul fenomeno del caporalato nelle campagne fra Agrigento e Licata, hanno dato esecuzione a 8 decreti di fermo emessi dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento.
L’indagine, avviata nel maggio 2019 dal Nucleo Operativo della Compagnia di Agrigento in sinergia con il locale Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro e coordinata dalla Procura di Agrigento, ha svelato l’esistenza di una complessa organizzazione di caporalato, articolato e con una solida struttura verticistica, che vedeva come capi due donne di origine slovacca, madre e figlia.
Le due donne, con il supporto di altri sodali, utilizzando visti turistici che consentivano l’ingresso negli Stati ai confini orientali dell’Unione Europea come la Polonia, aggiravano i limiti alla libera circolazione posti dal Trattato di Schengen ed organizzavano il viaggio verso l’Italia di persone, maggiormente di provenienza ucraina, utilizzando autobus vecchi ed angusti.
Trasportati nell’agrigentino, i circa 100 braccianti ucraini venivano “ospitati”, pagando un affitto salato, presso diverse abitazioni messe a disposizione dai membri dell’organizzazione, per essere poi avviati ai lavori nei campi. Le due promotrici e gli altri intermediari, contrattavano a le prestazioni con i proprietari dei fondi e delle aziende agricole. Raggiunto l’accordo economico (ogni lavoratore riceveva una paga corrispondente a meno di 3 euro all’ora), i lavoratori venivano trasportati, mediante l’utilizzo di furgoni condotti dagli stessi caporali, sul posto di lavoro ove svolgevano lavori agricoli di vario tipo su tutto il territorio agrigentino e anche oltre.
Il trasporto sul posto di lavoro, come accertato dagli investigatori dell’Arma, avveniva in condizioni di estremo disagio (in alcuni casi venivano caricate 40 persone su un furgone), su una vera e propria flotta di minivan e furgoni e le condizioni di lavoro erano penose: braccianti costretti a stare in piedi per ore, a sgrappolare l’uva o a cogliere pesche, senza poter fare pause o riposarsi, nemmeno sedersi su una cassetta di frutta, esposti al forte caldo e all’umidità delle serre e alla pioggia battente senza poter trovare alcun riparo, lavorando fra le 10 e le 12 ore al giorno, costantemente intimoriti e controllati dai caporali.
Tutti gli indagati dovranno rispondere, a vario titolo, di “associazione per delinquere finalizzata al caporalato nonché dell’illecita permanenza dei lavoratori extracomunitari sul territorio nazionale”.