Operazione “ULTRA”. Associazione mafiosa ed altro i reati contestati. 46 misure cautelari, un arresto in Germania
Effettuato un sequestro preventivo per un milione di euro
Roma, 01 luglio 2020 – Alle prime luci dell’alba, i Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale di Enna, con l’ausilio dei competenti comandi territoriali, hanno concluso l’Operazione “ULTRA” dando esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. presso il locale Tribunale, su richiesta della Procura della Repubblica di Caltanissetta – Direzione Distrettuale Antimafia, a carico di 46 soggetti (tra i quali un minorenne, all’epoca dei fatti) affiliati o contigui alle famiglie mafiose di Barrafranca e Pietraperzia.
I provvedimenti hanno riguardato i comuni di Barrafranca (EN), Pietraperzia (EN), Catania, Palermo e Wolfsburg (Germania) dove uno degli affiliati di spicco del sodalizio, B. G. E., è stato localizzato e catturato in Germania grazie al supporto del BKA e della polizia tedesca,con il coordinamento operativo dell’Agenzia di Polizia europea EUROPOL.
I reati contestati, a vario titolo, sono associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico e allo smercio di stupefacenti, estorsioni, corruzione aggravata dall’aver favorito l’associazione mafiosa,detenzioni di armi e assistenza agli associati.
Contestualmente è stato notificato anche un decreto di sequestro preventivo di beni (società, beni immobili e conti correnti) per un valore di oltre un milione di euro.
L’indagine è stata avviata nel maggio 2018 successivamente alla concessione del benefico della detenzione domiciliare – per ragioni di salute – a Raffaele BEVILACQUA, già condannato per associazione di tipo mafioso nel cosiddetto processo Leopardo, che tra la fine degli anni ’80 e i primi anni del 2000 era non solo componente del direttivo della Democrazia Cristiana ed in strettissimi rapporti con Salvo LIMA, ma anche al vertice di Cosa Nostra ennese per diretta investitura di Bernardo PROVENZANO.
BEVILACQUA è stato, inoltre,condannato all’ergastolo per essere stato riconosciuto mandante – unitamente a Francesco “Ciccio” La ROCCA – dell’omicidio di Domenico CALCAGNO perpetrato a Valguarnera Caropepe nel maggio del 2003.
L’immediato monitoraggio avviato dai Militari del ROS ha consentito di documentare come il lungo periodo di detenzione, anche in regime di cd “carcere duro”, non avesse minimamente fiaccato lo spirito di BEVILACQUA il quale, non appena ritrovata la “libertà”,ha ripreso immediatamente la direzione della famiglia mafiosa con il fondamentale apporto dei suoi familiari.
In spregio ai vincoli imposti dal regime di detenzione domiciliare, l’appartamento di Catania – presso il quale egli era ristretto – diveniva il crocevia di importanti incontri con altri storici affiliati, primi fra tutti gli uomini d’onore A. S. e S. P., nel corso dei quali venivano decise strategie e progettate le azioni da compiere, alcune anche molto gravi.
Dalle indagini è emerso che il carisma ed il rispetto di cui godeva BEVILACQUA siano rimasti intatti nonostante il tempo trascorso; indicativo in tal senso è il gesto compiuto dall’anziano uomo d’onore A. S. il quale, rivedendo il suo capo famiglia dopo più di 15 anni, al momento dei saluti gli baciava le mani in segno di immutato rispetto.
Nel progetto di riorganizzazione della famiglia mafiosa posto in essere da BEVILACQUA Raffaele hanno assunto un ruolo cardine i suoi figli F. A. e M. C., quest’ultima avvocato del foro di Enna.
Il primo era l’interfaccia del padre con il territorio ed in tale prospettiva si è occupato di tenere i contatti con gli altri affiliati e di concordare le azioni da intraprendere.
M.C. B., invece, dimostrando fierezza del ruolo ricoperto dal padre all’interno dell’organizzazione mafiosa e piena adesione alla stessa,non solo era solita compiacersi per il “rispetto” che le veniva tributato, ma, approfittando della sua professione, incontrava presso il suo studio legale di Barrafranca gli affiliati ai quali consegnava i “pizzini” scritti dal genitore con gli ordini da eseguire. La stessa, al pari del fratello, partecipava alla scelte strategiche del gruppo criminale, organizzava gli incontri presso la casa di Catania e, ancora una volta sfruttandoil suo ruolo di legale, attuava una serie di manovre volte ad evitare il ritorno in carcere del congiunto.
Emblematico per tratteggiare la personalità della donna è il richiamo al dialogo intercorso tra lei e il padre subito dopo l’incontro che il BEVILACQUA aveva avuto con S. A.. In particolare, la donna chiedeva con insistenza al congiunto se egli avesse ricevuto l’ossequioso rito del “baciamano”. Ottenutane conferma ribatteva, con parole che ci riportano indietro nel tempo, “…. e io comunque quando tu muori fra 100 anni io mi auguro…io mi auguro… mi auguro di avere dei figli…che gli devo raccontare tutte queste cose…” a dimostrazione che la “liturgia mafiosa”, ancora oggi viva, suscita nell’avvocato B. M. C. orgoglio e complicità col padre, “uomo d’onore” di Cosa Nostra le cui azioni vengono ritenute degne di essere raccontate ai figli quasi fossero gesta eroiche.
A conferma che il tempo e la detenzione non abbiano rescisso il legame con l’organizzazione veniva documentato come F. M., anch’egli storico affiliato alla consorteria barrese, nel tempo avesse consegnato ai famigliari del suo capo cospicue somme di denaro con le quali, come la moglie del boss Giuseppa ammetteva, aveva provveduto a soddisfare i “piaceri” dei figli, tra cui la festa di laurea di M. C. pagata proprio con il denaro provento di attività illecite.
BEVILACQUA Raffaele tornato sulla scena metteva in moto una serie di azioni criminali volte a assumere il pieno controllo del territorio ed assicurarsi lauti ritorni economici, individuando nell’appalto del valore di 7.5 milioni di euro per la gestione dei RSU del comune di Barrafranca il più importante obiettivo. La famiglia BEVILACQUA – Raffaele, F. A. e M. C. – agiva con l’ausilio di S. A. e del figlio di questi, S., di P. S. e di L. M. L. F, imponendo all’ATI agrigentina vincitrice dell’appalto l’affitto degli spazi per il ricovero dei mezzi per un importo annuo di 27.000 euro e facendosi pagare il “pizzo” attraverso bonifici così da giustificare i pagamenti come “regolare” canone di locazione.
Ovviamente la riaffermazione della presenza sul territorio passava anche attraverso azioni meno “sofisticate” e più “tradizionali” quali l’attentato incendiario commesso in danno del ”Supermercato Decò” di Barrafranca del “GRUPPO ARENA” nella nottata del 15 settembre del 2018. Azione finalizzata a mandare un chiaro segnale a tutte le attività commerciali di doversi mettere “a posto”, come lo stesso Raffaele Bevilacqua spiegava al figlio affermando che nel momento in cui l’imprenditore avrebbe ricevuto “la botta” sicuramente “questo si smuove”.
Tale era la volontà di avere il controllo pieno e totale di tutte le attività illecite che BEVILACQUA Raffaele stabiliva d’imperio che il traffico e lo spaccio di droga dovevano essere gestiti in toto dalla famiglia mafiosa dalla quale erano costrette a rifornirsi tutte le piazze di spaccio presenti su Barrafranca. Grazie al penetrante monitoraggio investigativo era possibile ricostruire l’intera filiera – di cui erano partecipi anche i vertici dell’alleata famiglia di Pietraperzia – caratterizzata da una rigida compartimentazione volta a tentare di eludere eventuali indagini.
Venivano individuati in soggetti appartenenti alla criminalità organizzata catanese i fornitori ai quali si erano rivolti P. S.e L. M. F. L. grazie all’intermediazione del catanese V. M..
La gestione delle piazze di spaccio riconducibili alla famiglia mafiosa era demandata a S. S. e F. A.; B. F., L. M. D. e L. M. V. erano deputati al controllo e alla raccolta del denaro provento dello spaccio da consegnare ai vertici della famiglia.
È in questa fase che l’indagine del ROS è andata ad intersecarsi con quella condotta dal Comando Provinciale di Enna, che su delega della DDA nissena stava svolgendo parallele attività in ordine al traffico di stupefacenti – cocaina e marijuana – nel Comune di Barrafranca, documentando una incessante attività di spaccio nella quale venivano impiegati anche minorenni.
La portata dell’affare era tale che sono stati documentati momenti di forte attrito, sfociati in scontri anche particolarmente violenti, per la gestione di alcune zone tra gli appartenenti alla rete di smercio riconducibile alla famiglia mafiosa e a “gruppi autonomi”, conflitti giunti a un livello tale da richiedere l’intervento diretto di BEVILACQUA Raffaele che ordinava a P. di “mettere pace”.
È proprio nel corso delle perquisizioni effettuate a riscontro dell’attività di spaccio, che a S. S. e a L. M. V. venivano sequestrate varie armi da fuoco e un libro mastro con la rendicontazione dell’attività di spaccio.
L’indagine, infine, oltre a consentire di raccogliere ulteriori utili elementi in ordine all’omicidio di Filippo MARCHI’ per il quale sono già a giudizio i vertici della famiglia di Pietraperzia, ha permesso di documentare come la famiglia mafiosa fosse in grado di incidere attraverso amministratori compiacenti sulle scelte del Comune di Barrafranca. È stata accertata infatti la diretta e fondamentale partecipazione di Z. G., Responsabile del IV Settore – Gestione del Territorio Infrastrutture e Servizi Manutentivi del Comune, nell’assegnazione di un appalto, con il metodo dell’affidamento diretto all’imprenditore B. S., risultato essere in stretti rapporti con la famiglia Bevilacqua.
Sono state emesse n. 35 ordinanze applicative della misura della custodia cautelare in carcere, n. 10 ordinanze applicative della custodia agli arresti domiciliari ed n.1 ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti della minorenne S.S.