Nelle scorse settimane, era stato operato due volte, entrando in coma la seconda volta.
Latitante dal 1969, venne arrestato dai Carabinieri del Ros il 15 gennaio del 1993 a Palermo, davanti alla sua villa in via Bernini 54, insieme al suo autista.
“La Belva”, aveva raggiunto il vertice della mafia, spazzando via con le armi, anche personalmente, la vecchia gerarchia mafiosa e tutti gli avversari che si frapponevano al suo potere di capo indiscusso di “Cosa Nostra” come i boss delle famiglie non allineate quale “don Piddu” Panno di Casteldaccia e poi il palermitano Stefano Bontate con i loro uomini, diventando e mantenendo il potere anche dal carcere. Da lì, indirizzava le strategie economiche e di abbattimento, senza scrupoli, di tutti gli ostacoli ai suoi disegni criminosi, tanto da meritare le condanne a numerosi ergastoli.
Fra le migliaia di omicidi imputati a Totò Riina, l’uccisione di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, e i poliziotti addetti alla loro scorta, l’uccisione di Michele Reina, Pio La Torre, Piersanti Mattarella, il prefetto Generale Carlo Alberto Della Chiesa e la giovane moglie Emmanuela Setti Carraro con l’agente di scorta Domenico Russo; l’autobomba che uccise il consigliere istruttore Rocco Chinnici e i carabinieri che lo proteggevano, Boris Giuliano capo della Squadra mobile di Palermo.
Riina ha però sempre negato il coinvolgimento nella strage di via D’Amelio, dove morirono Borsellino e la sua scorta.
Con la morte, ha portato con se nella tomba i veri segreti della mafia con le sue coperture politiche.