Un libro di sicuro interesse, quello di Giancarlo Capaldo, Procuratore della Repubblica Aggiunto di Roma, dal titolo: “Roma mafiosa- Cronache dell’assalto criminale allo Stato”, Fazi editore, maggio 2013, che condensa anni di indagini ad alto livello non limitate al solo panorama capitolino ma allargate, nell’analisi, con spunti di vivo interesse, a quello nazionale, e questo grazie all’esperienza maturata in quarant’anni di attività, iniziata nella metà degli anni ’70, quando nella Procura romana c’erano Magistrati dello spessore di Raffaele Vessichelli, Mario Bruno, Giorgio Santacroce, Luigi Ciampoli, Niccolò Amato, Mario Cannata, Domenico Sica, Paolino Dell’Anno, Ilario Martella, Claudio Vitalone, Margherita Gerunda, Luigi Jerace, Vittorio Occorsio e Mario Amato (questi utimi due uccisi da terroristi). Capaldo scrive pagine dense di informazioni e dati, con interessanti sintesi di approfondimento, arricchite da episodi personali. A Roma, quindi, le mafie sono sbarcate da tempo (ricordiamo che Pippo Calò, boss di Porta Nuova di Palermo, con incarico di apripista e cassiere di Cosa Nostra, vi giunse a metà anni ’70) perché, allora come oggi, Roma Capitale era ed è sinonimo di potere. E così la Città Eterna da tempo è diventata la capitale anche per il crimine organizzato, una base essenziale sia per le mafie nostrane – Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra – sia per quelle straniere – albanese, rumena, russa, cinese o nigeriana – in un enorme intreccio di interessi criminali. Facendo riferimento a situazioni del panorama nazionale, è interessantissimo il capitolo “Gli anni che hanno cambiato l’Italia (1992-’93)”, nel quale l’autore, scrivendo di Giovanni Falcone, afferma che “la sua morte è stata necessaria per modificare gli equilibri politici, così come lo sarà, per altri versi, quella di Paolo Borsellino: le due stragi determineranno conseguenze politiche precise e sono in qualche modo le credenziali con le quali Cosa Nostra si siede metaforicamente al tavolo della trattativa, imponendosi ancora una volta come soggetto con cui dover fare politicamente i conti”. Ancora, nel capitolo sulla cosiddetta “Falange Armata”, viene precisato che sembra cogliersi un filo conduttore; “è come se il percorso iniziato con la strategia della tensione alla fine degli anni Sessanta si sia perpetuato fino agli anni ’90 attraverso sigle improbabili come quella della “Falange”, e che oggi la stessa strategia si riproponga sotto denominazioni hackeristiche come “Anonymous”. In fondo, il tentativo è sempre lo stesso: lo scacco e la delegittimazione delle istituzioni allo scopo di modificare lo status quo e incoraggiare la fine di un’epoca”. Sul quadro politico nazionale, Capaldo affonda il bisturi in profondità dichiarando che oggi la situazione appare di nuovo oltremodo difficile. “La crisi economica sempre più profonda e diffusa, il risveglio di attività eversive di differenti matrici e il peso economico-finanziario e politico della mafia dei colletti bianchi fanno scattare una sorta di allarme rosso istituzionale. I risultati delle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013 hanno determinato una situazione politica incerta e destabilizzante…..In questa situazione non è difficile immaginare la possibile elaborazione di strategie che potrebbero prevedere attentati spettacolari allo scopo di dirigere il cambiamento”. A conferma di ciò, nel libro sono riportate in appendice le valutazioni contenute nel rapporto della DIA del 10 agosto 1993 nel quale si fa riferimento alla circostanza che subito dopo la strage di via D’Amelio, con l’uccisione di Paolo Borsellino e della scorta, a poco meno di due mesi dalla strage di Capaci, dove persero la vita Giovanni Falcone, la moglie, anch’essa Magistrato, e la scorta, “Cosa Nostra fosse diventata compartecipe di un progetto disegnato e gestito insieme ad un potere criminale diverso e più articolato. Del resto, esempi di organismi nati da commistioni tra mafia, eversione di destra, funzionari dello Stato infedeli e pubblici amministratori corrotti….. Non è da oggi che Cosa Nostra mantiene collegamenti con altre organizzazioni al fine di supportare ipotesi golpiste o azioni stragiste. Come sempre però, il rischio di un ritorno alla immortale strategia della tensione continua a nascondersi tra le pieghe della nostra società”. Sulla saldatura politica-mafia, trattando ampiamente, come ovvio, della banda della Magliana che imperversò per un ventennio nella Capitale, Capaldo afferma che “inizia nel biennio 1992-93 il suo declino, in quanto la sua fine è collegata con quella del mondo politico che aveva permesso la sua nascita e soprattutto la sua affermazione; quando, cioè, venuti meno gli appoggi politici, la banda appare come uno strumento ormai inutile, il residuo di un sistema che non esiste più. E’ solo allora che lo Stato può finalmente colpirla a morte”. Quel che è ancora più grave è il fatto che “alcune figure di confine, personalità di raccordo tra la sfera istituzionale e quella criminale che sono sopravvissute alla “rivoluzione” del ’92-’93 (tangentopoli), hanno impedito che si facesse chiarezza sulla storia della banda, sui suoi complici e i suoi alleati….”. Concludendo, un libro di grande interesse dal periodare brillante che viene letto tutto d’un fiato, con piacere, come un “romanzo criminale”, ma dai contenuti drammatici su quella che è la situazione della sicurezza non solo di Roma ma anche nazionale; un quadro che sconcerta per le commistioni della mafia con i piani alti della politica vissute e praticate da decenni. Al riguardo, va dato atto al Procuratore Capaldo del coraggio evidenziato nel suo racconto, che poi risulta una vera e propria denuncia su quanto è accaduto e accade in Italia. Avessero in tanti, tra i rappresentanti delle istituzioni, lo stesso coraggio di questo Magistrato! L’autore, nella conclusione, esprime un messaggio positivo di certezza unitamente ad un auspicio. La certezza, è quella che “contro tali manovre (della mafia) la Magistratura italiana e le Forze di Polizia sono sicuramente pronte a intervenire e a reagire adeguatamente: al riguardo il lavoro di questi ultimi trent’anni ci rende ottimisti….La speranza, è che la politica riesca a dare una rapida risposta al Paese, rendendo impraticabili tali strategie”. Ma la politica farà qualcosa? Certo, lo si spera, purchè si inizi subito a varare Leggi che sostituiscano quelle che in tanti anni hanno depotenziato il quadro normativo favorendo le mafie; poi, che si accordino alle Polizie gli strumenti necessari di ordine economico, materiale ed anche morale. Su questo secondo ambito dobbiamo però sostenere di essere sconcertati nell’apprendere, proprio in questi giorni, che la carenza di fondi non consente al personale della DIA, la struttura voluta da Giovanni Falcone per la lotta alle mafie, di frequentare corsi di aggiornamento, mentre con circolare del Direttore D’Alfonso a tutti i Centri Operativi del territorio nazionale è stato imposto di dimezzare, per “rimodulazione” o “razionalizzazione” delle procedure, l’accesso alle Banche Dati delle Forze dell’Ordine (Sdi) e delle Camere di Commercio (Infocamere). Sull’argomento, poi, c’è da domandarsi, tenuto conto che la Dia ha tra le competenze anche il monitoraggio dei grandi appalti, come mai, alla vigilia di Expo 2015, e durante la ricostruzione post terremoto sia in Emilia che in Abruzzo, all’organismo antimafia siano state ridotte le possibilità di azione, invece di rinforzarle per combattere l’infiltrazione mafiosa negli appalti. La risposta, ovviamente, spetta alla Politica che, piaccia o non, deve dare risposte concrete ai cittadini italiani assediati, mai come prima, dalla criminalità violenta assassina e rapace!