La violenza a Roma, esisteva anche negli scorsi decenni.
Fulvio Milone, sulla Stampa di Torino, scrive, sullonda lunga delle recenti polemiche sulla delinquenza a Roma, assediata da clan mafiosi e delinquenti spiccioli, che : Capita che a San Basilio la vita di un uomo valga dieci euro, o che un pusher dia la «paghetta» a un ragazzino di tredici anni perché lo avvisi dell’arrivo della polizia e nasconda la droga in un orsetto di peluche. Succede che un breve tratto di strada, neanche cento metri, consegni il Trullo alla più recente storia «nera» della capitale con una sequela impressionante di omicidi, ferimenti, attentati incendiari, rapine. Accade anche che, in una piazzetta intrappolata fra i palazzoni di Tor Bella Monaca, una bambina di dieci anni venga ferita al posto del padre durante un regolamento di conti.
Oggi, la Malaroma rimane un grosso problema irrisolto per tutti: Polizia, Carabinieri, Magistratura e Prefettura, alla ricerca di una strategia comune nella guerra alle gang che si sfidano nella periferia per controllare il mercato della droga e il racket delle estorsioni e dell’usura.
La vita è diventata pericolosa soprattutto in sette quartieri, non solo per gli affari sporchi della malavita, ma anche per i mille atti di semplice teppismo, di sopraffazione e arroganza che si consumano quotidianamente.
Il giornalista, ancora, dice che il Sindaco Alemanno ha impostato tutta la sua campagna elettorale sullo spinoso tema della sicurezza, senza con questo, ritengo, voler attribuire una sorta di responsabilità al primo cittadino.
Premesso, in linea generale, che sullargomento il Sindaco, sebbene detentore di potere di ordinanza, poco può fare, in quanto la prerogativa del contrasto alla criminalità spetta allo Stato, nelle sue varie articolazioni, perché allarmarsi tanto? Roma da più di 40 anni è teatro di guerre ben più sanguinarie tra bande di delinquenti, certo più strutturate delle attuali.
Quando, nell’ottobre 1971, assunsi la responsabilità del Nucleo Operativo della Compagnia Roma Trastevere (Tenente appena 24enne), nell’ orientarmi nel già molto complesso e variegato panorama della criminalità capitolina, il nome di Sergio Maccarelli balzò subito alla mia attenzione di giovane ufficiale.
“Lavorando” sulle “bische”, ritenute allora operazioni di Polizia Giudiziaria di “serie B” (tra l’altro, la competenza penale per il gioco d’azzardo era del Pretore), ma in realtà molto utili per conoscere “personaggi” d’interesse, perchè, allora come oggi, siti altamente criminogeni, appresi della valenza delinquenziale del Maccarelli (un ex pugile dai modi guasconi spesso anche violenti; un personaggio, in verità, oggi colpevolmente non citato da quanti , specializzati o meno, scrivono di delinquenza capitolina degli anni andati).
Proprio informatori provenienti dal mondo dei “biscazzieri” , mi aprirono scenari altrimenti impossibili, partendo proprio dagli ambienti praticati da Maccarelli, le cui frequentazioni non si limitavano allo “scacchiere” capitolino,ma andavano ben oltre, arrivando persino al Capo della “vecchia” Camorra, Antonio Spavone, soprannominato ” O malommo”, all’epoca ancora ricercato per omicidio, ed ospite del RAS quando veniva a Roma; ma ancora, a potenti fratelli, importanti contrabbandieri di Genova; Vittorio Scarpetti, soprannominato “la biscia”; Roberto De Conciliis, ricercato in Lombardia per sequestro di persona, e tanti altri personaggi di primissimo piano nel panorama criminale nazionale di allora.
Quando ci fu lo “sgarro” ad Ettore Tabarani, molto vicino al Maccarelli, con l’ irruzione nella sua “bisca”, proprio pochi giorni prima dell’ assassinio di quest’ultimo, nel 1972, seppi subito che il gesto era da ritenersi quale “avvertimento” al Maccarelli stesso.
Morto questi, appunto poco dopo, un amico giornalista de “Il Tempo” tirò una “bordata” al Capo della Mobile, il grande e indimenticato dott. D’ Alessandro, in verità tutto proteso a sminuire l’importanza del delitto, arginato a “fatterello” di borgata, mediante il lancio di un ampio articolo , addirittura con “spalla di prima pagina”, in cui si descriveva una situazione nuova in Roma, dove erano “saltate ” le regole, con previsioni certamente fosche.
Ed ebbe ragione Lui, come ebbi ragione io, visto come poi le cose si svilupparono!
Gli anni Settanta, effettivamente, segnarono un punto di svolta nella storia della malavita romana. Nel 1967 ci fu, come prodromo, lomicidio a scopo di rapina dei fratelli Menegazzo, a Ponte Lanciani, che allarmò molto lopinione pubblica, facendo intendere che le cose stavano cambiando. Quella Roma violenta, negli ultimi 79 giorni del 1972, vide lesplosione di 93 colpi d’ arma da fuoco per un totale di 7 morti e 17 feriti; 140.000 tossicodipendenti; una nuova prostituzione esercitata, per il 37,8%, da ragazze tra i 14 e i 16 anni. Col 20% dei reati commessi in tutto il paese, Roma assurse al primo posto dell’ imbarazzante statistica nazionale.
Alla metà del decennio 70, tutto cambiò perché calò in Roma un gruppo di delinquenti francesi, con un curriculum criminale di tutto rispetto che fu chiamato, dal titolo di un famoso film, il Clan dei marsigliesi, capeggiato da un corso, Albert Bergamelli, e da un marsigliese, Jacque Berenguer, che iniziò a imporsi. Si iniziò, allora, a Roma, a fare uso intensivo delle armi da fuoco, pistole, fucili e bombe a mano, per commettere rapine, anche nel centro storico (tragica quella in Piazza dei Caprettari).
Iniziò anche la stagione dei sequestri, in cui si distinsero la banda dei sardi e quella allepoca capeggiata da Laudavino De Santis, che aveva la sua base in Viale Marconi- Magliana, che evidenziò comportamenti di particolare crudeltà a Roma mai visti prima (sequestro Palombini:il povero ostaggio, deceduto nelle mani dei delinquenti, veniva conservato in frigo per essere usato per foto con giornale in mano, allo scopo di far durare il più a lungo possibile il sequestro al fine di estorcere denaro). Si andava formando il primo nucleo di quella che fu chiamata la Banda della Magliana, capeggiata dal trasteverino Franco Giuseppucci, detto Er Negro, che assemblò inizialmente criminali che gravitavano nellomonimo quartiere della periferia romana. Il denaro estorto ai sequestrati fu ovviamente reinvestito in droga, il che sfociò nello scontro con la mafia siciliana ( nel 1975-76 in Roma si era trasferito il boss Pippo Calò, per conto di Cosa Nostra), che allepoca ne monopolizzava il traffico, e la situazione degenerò in una serie di omicidi, anche allinterno delle carceri.
Quindi, nulla di nuovo sotto il sole a Roma!
La Capitale da tempi ormai lontani è preda ghiotta di organizzazioni criminali.
Allora, come oggi, le Forze dellOrdine, con il supporto della Magistratura, saranno allaltezza del loro difficile ruolo, purchè la Politica sappia dare loro le risorse giuste, senza, soprattutto, depotenziare le Leggi (in primis quella sulle intercettazioni!).
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