Un poema epico per immagini sulla natura selvaggia e sulle “forme primigenie di organizzazione umana”. E’ Genesi, l’ultimo vasto lavoro di Sebastião Salgado, il grande fotografo brasiliano de La mano dell’uomo (1993), dei reportage in miniera, del lavoro bestiale e delle masse di derelitti che migrano per fame. Genesi è al Museo dell’Ara Pacis dal 15 maggio al 15 settembre, in contemporanea con altre grandi capitali come Londra, Rio De Janeiro e Toronto. Gli scatti sono divisi in quattro capitoli: La creazione (paesaggi dall’alto, fotografati dall’aereo o dall’elicottero), L’arca di Noè(animali ritratti nel loro habitat naturale), I primi uomini (popolazioni indigene che vivono in modo tradizionale) e Le prime società (“forme primigenie di organizzazione”, popoli nomadi, economie pastorali…). La mostra, con oltre 200 immagini, segue invece un percorso geografico in cinque sezioni: Il pianeta Sud, I santuari della natura, L’Africa, Il grande Nord,L’Amazzonia e il Pantanàl. Dimensioni e respiro dell’ultimo parto di Salgado sono come sempre all’insegna dell’universalità (gli scatti coprono quasi l’intero pianeta: dall’Amazzonia al Congo, dall’Indonesia alla Nuova Guinea, dall’Antardide all’Alaska, dai deserti nordamericani e africani alle montagne americane, cilene e siberiane), della più classica essenzialità (tutte le foto rigorosamente in bianconero) e di una potenza di rappresentazione che fa di ogni fotografia l’emblema di una parte di mondo o di una specifica condizione umana. Genesi, insomma, non delude chi ama il Salgado fino a Genesi: anche qui lo stupefacente superamento – o meglio l’insussistenza – dell’aporia tra equilibri formali nell’inquadratura (che gli europei, ma non gli americani, percepiscono come sovrastruttura “decorativa”, estetizzante) e racconto drammatico. E questo perché, appunto, Salgado è a pieno titolo un autore epico, come si conviene a un moderno aedo del Sudamerica, in grado di cogliere senza sforzo – e senza le contraddizioni proiettate dalla nostra coscienza infelice di vecchi occidentali – il nesso tra grandiosità dei fenomeni, ordine architettonico del paesaggio, alito di vita e immensità del dolore e dell’umana fatica. La novità, se mai, è nello spettro tematico: qui si va oltre il formicaio delle minas, oltre la denuncia sociale e si scoprono le carte di una più ampia saudade. Nostalgia di un’età dell’oro in rotta, della terra che perde le sue ultime enclave vergini e gli ultimi uomini che vivono “secondo natura”, del nucleo elementare e primigenio travolto dal fragore dell’antropizzazione forzata. Salgado è esplicito: “Ho chiamato questo progetto Genesi perché il mio obiettivo è tornare, per quanto possibile, alle origini del pianeta: all’aria, all’acqua e al fuoco da cui è scaturita la vita, alle specie animali che hanno resistito all’addomesticamento, alle remote tribù dagli stili di vita ‘primitivi’ e ancora incontaminati, agli esempi esistenti di forme primigenie di insediamento e organizzazione umana”. Un dossier sull’essenza del mondo prima che se ne perdano le ultime tracce. Per trasmetterle, ma anche per difenderle e rigenerarle: con i proventi di Genesi Salgado intende “riforestare 600 ettari di terra in Brasile”. “Un grandissimo omaggio alla bellezza del pianeta”, ha commentato l’assessore Gasperini, “un progetto straordinario: otto anni di lavoro epico alla ricerca del mondo che dobbiamo riscoprire”. “Un messaggio”, ha sottolineato Gasperini, “che abbiamo l’onore di far partire da Roma”.