Borghezio o la fotografia dei nostri tempi

L’on. Mario Borghezio, esponente della Lega Nord e membro della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni ecc., ecc. nei giorni scorsi si è reso responsabile di un’intemperanza…

L’on. Mario Borghezio, esponente della Lega Nord e membro della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni ecc., ecc. nei giorni scorsi si è reso responsabile di un’intemperanza che ha avuto l’onore della menzione della storiografia del presente, volgarmente detta stampa.  L’intemperanza, l’onorevole, ovviamente, condivisibile o meno, se la poteva risparmiare, ma il problema non è quello ma il significato dell’avvenimento.Sui giornali del 23 c.m., è apparso un articolo brevissimo di sette righe su quattro colonnine che ha “onorato” della menzione storiografica la vicenda di Borghezio a causa degli apprezzamenti di questi alla neo-ministro Keynge. Cosa ha di strano o di particolare questo articolo? È un piccolo capolavoro di pessimo esempio di composizione linguistica, di retorica ipocrita e di involuzione socio-culturale perché riferisce la vicenda di Borghezio in questi termini; “ha criticato la nomina a Ministro della Repubblica Italiana, una donna “di colore” e, poi, qualche riga più avanti, “nera”. Che cosa significano “di colore” e “nera”? Significano semplicemente negra. Perché non si usa la parola specifica esistente da almeno duemila anni nella nostra lingua? Perché definire  “negra” una persona appartenente alla razza negra, risulta offensivo ed umiliante perché si sottolinea il colore della sua pelle ma è molto peggio, e nessuno rileva la cosa, definirlo “nero”; dopo di che dobbiamo concludere che definendo, il negro, con l’espressione “di colore”, gli si cambia il colore della pelle e il negro diventa bianco, come non pochi di loro vorrebbero essere, o “si sente” bianco, che è ancora più puerile, e colui o coloro che definiscono “negro” una persona dalla pelle nera, vengono tacciate di razzismo. Questo ricorda molto la poca maturità di coloro che, avvertendo un disturbo, non consultano il medico per paura di conoscere la malattia da cui, per costoro, non conoscendo la malattia, la malattia non esisterebbe. Bene; Borghezio contesta l’incarico ad una donna negra di Ministro della Repubblica Italiana, con parole certo, irriguardose, questo si,  ma che, comunque, fanno parte dello slang della lingua oggi vigente, che non è più l’italiano classico, ma una lingua ibrida non bene identificata e definita, perché in continua involuzione, che i moderni manuali, che hanno sostituito la gloriosa Grammatica Italiana, per la formazione della quale sono occorsi duemila anni, definiscono “lingua contemporanea” e che, in barba a tutte le regole di stile e di contenuto, viene diffusa dai “mezzibusti” dei TG di tutte le reti televisive e, di conseguenza, parlata dal popolo. Le parole irriguardose, abbiamo detto, sono contemplate, da questi pseudo libri, come espressioni coriacee ed enfatiche ed hanno trovato ospitalità nel nostro modo di esprimerci quotidiano. Infatti non possiamo fare due passi per la strada o frequentare un ambiente, che sentiamo la gente esprimersi nel modo in cui si è espresso Borghezio e la articolista, in virtù di un perbenismo di maniera che, forse, anche essendo giovanissima, ha preso da un film che non conosce, “I peccatori di Peyton Place” (che descriveva il marcio esistente sotto il perbenismo esteriore ed ipocrita di una cittadina dell’immensa provincia americana) riporta per sottinteso con l’espressione “una scelta del c…..o”. Riportare una espressione testuale, delegando ai puntini sospensivi la funzione di esprimere il turpiloquio sottinteso per non scriverlo o pronunciarlo esplicitamente, è ipocrisia e della più, non ignobile, ma idiota.Non è finita qui; la cronista riferisce ancora che Borghezio, capita la gaffe che, indubbiamente, ha fatto, e che, indubbiamente, non doveva fare, pronunciandosi nei termini, che, comunque, ripetiamo, appartengono alla lingua dei tempi che viviamo, si è autosospeso ma ha contestato, comunque, la nomina che ha provocato la sua opinione con mezzi non ortodossi, con la spiegazione: “….ha la faccia da casalinga!….”. Bene; qui sarebbe il caso di guardarci un po’ tutti, Borghezio e tutti noi, che costituiamo questo insieme umano informe e dall’andamento gregale, nello specchio. Abbiamo dato vita ad una dimensione in cui il ruolo di “casalinga” risulta, per la donna, offensivo ed umiliante alla pari dell’aggettivo “negro” ad una persona dalla pelle nera. Siamo nella dimensione fenomenica in cui se la donna viene chiamata con l’appellativo del suo titolo di studio, dottoressa o avvocatessa, per menzionare quelli usati più di frequente, corregge prontamente con l’equivalente maschile, “dottore” o “avvocato” perché sente di poter affrontare ed esercitare la professione alla pari di un “maschio”, detentore, una volta, dell’esercizio della professione e si sente a suo agio soltanto se indossa i pantaloni, (diventati, nella nostra epoca, tanto aderenti da costituire niente di meno di una calzamaglia per la fotografia del nudo di quando il nudo si fotografava, ipocritamente, con una calzamaglia) e se rifiuta la femminilità e se le si contesta, addirittura, la nomina ad una carica pubblica, perché “ha la faccia della casalinga”, la si annulla e la si sotterra completamente per cui codesta “donna”, per mandare avanti la casa e la famiglia, che chi sa in quale modo ha formato, assume una “donna di servizio” che faccia la “casalinga” al posto suo perché quello è il ruolo che lei, nella dimensione che ha voluto, ha rifiutato per la professione. Bene; lasciamo perdere Borghezio e le sue intemperanze (non sono le prime e non saranno le ultime) e guardiamo il “messaggio” che scaturisce dall’articoletto; il “guardarci nello specchio”, in questa situazione, significa solo fare il tentativo di riconoscere, sempre se ne siamo in grado, il livello di involuzione in cui la dimensione di ruoli, introdotta dall’intemperanza di Borghezio, ci ha condotti. La società va alla deriva perché la famiglia, sua cellula, non esiste più; non esiste più perché è scomparsa la “casalinga” e la donna si sente umiliata se le viene richiesto quel ruolo e demanda la cura della casa e della famiglia ad una domestica. Non esistono più la cultura della famiglia e l’inquadramento umanistico dei nostri ruoli e non esiste più la scuola. Scrivere un articolo in cui le regole della corretta composizione, per ottenere una corretta fruizione e una corretta “lettura” dei concetti, vengono sovvertite completamente e danno origine ad una lingua diversa che è un ibrido e della quale anche i codici comunicativi vengono sovvertiti al punto di non essere più captati, e che confonde messaggi e significati, non sovverte i meccanismi cosmici, e, su questo, siamo perfettamente d’accordo, ma fotografa l’involuzione culturale in cui siamo precipitati, che ha prodotto i risultati che oggi costituiscono questa specie di società…. e questi risultati sono avanti agli occhi di tutti, sempre che si vogliano vedere.

 

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