Con l’ articolo “Onore ai nostri Caduti” del 7 novembre, sul giornale “L’APPENNINO CAMERTE”, settimanale di informazione e cultura di Camerino e dell’Alto Maceratese, l’autore, Emidio Aquili, ci fa rivivere una delle pagine più tragiche della Grande Guerra. “..Mentre dense coltri di fumo, miste a nebbia, coprono le linee italiane, i Comandi del Regio Esercito si chiedono il perché di una tale azione improvvisa e poco giustificata….Le vedette italiane non scorgono, tra la nebbia e il fumo dei proiettili fumogeni, un’altra cortina di vapore biancastro che scende lentamente dalle linee nemiche, sospinta dalla leggera brezza dell’alba. Moriranno sul posto. Sono stati investiti da una nube di fosgene, una miscela di cloro e fosforo.
Ore 6,30, come spettri, escono dalle trincee nemiche e scendono circospetti i primi reparti Honved. Hanno maschere antigas e, piombati nelle trincee italiane dove i fanti sono stati colpiti completamente impreparati, si aggirano tra i cadaveri e gli agonizzanti. Li finiscono con un’arma antica, ma mai comparsa prima sul fronte italiano: la mazza ferrata”.
Nell’articolo sono anche ricordati due valorosi Soldati italiani, il Carabiniere Ansovino Pasqualoni e il Fante Raffaele Cerquetti; il primo, nativo di Castelraimondo, mentre l’altro di Pievetorina, nella provincia maceratese. Pasqualoni (nella foto), chiamato alle armi viene arruolato nel 1°Reggimento Artiglieria di stanza a Genova; nel 1907 transita nell’Arma dei Carabinieri Reali venendo trasferito alla Legione di Ancona. Il 23 maggio è in zona di operazioni. Muore il 29 giugno 1916, a Palmanova, nell’ospedale da campo a seguito della ricordata azione con gas. Decorato con due Medaglie di Bronzo al V.M., la prima, in tempo di pace, del 19 marzo 1912, meritata in Apricena (Fg), a seguito di coraggioso intervento per la cattura di pericoloso latitante; la seconda, perché, il 28 giugno 1916, quindi il giorno prima di quell’infausto 29 giugno, come leggiamo dalla motivazione: “In prima linea sotto il tiro della fucileria e delle mitragliatrici avversarie….cooperava energicamente a lanciare all’assalto di una trincea nemica …i nostri Militari”.
Il Fante Raffaele Cerquetti, invece, meritò la Medaglia di Bronzo cadendo valorosamente in combattimento il 10 giugno 1915, sul medio Isonzo, ai piedi del Podgora.
Tornando ai tragici fatti avvenuti all’alba del 29 giugno 1916, nella zona del Monte San Michele, gli Austriaci, con quell’azione, intendevano ricacciare gli Italiani dalle posizioni raggiunte dopo le prime cinque battaglie dell’Isonzo. I reparti erano costituiti dai Reggimenti 1° e 17° della 20° Divisione Honved ungherese, le cui avanguardie erano munite di mazze ferrate per finire i moribondi..con il vigliacco colpo sul cranio.
I Soldati italiani sopravvissuti furono comunque nelle condizioni di resistere e bloccare, con l’ausilio dei rinforzi, l’attacco. 100 i morti tra gli Ufficiali e 2600 tra i Soldati; rimasero gravemente intossicati, invece, 98 Ufficiali e 3900 Uomini di Truppa delle Brigate “Regina” e “Pisa”.
Per giorni sulle carrette trainate da muli le salme furono portate a Sdraussina, al cimitero chiamato poi “Cimitero degli Asfissiati”, per essere poi traslate nel 1928 al Sacrario Monumentale di Redipuglia.
La notizia fece notevole scalpore, anche se i gas asfissianti erano stati usati per la prima volta dai Tedeschi il 22 aprile 1915, in Belgio, causando 5000 vittime tra le truppe francesi.
C’è da dire che lo Stato Maggiore Italiano, tra i vari progetti di maschera antigas, tutti inefficaci, aveva incomprensibilmente preferito quella a forma di cono, con occhiali separati, che provò la propria tragica inefficienza proprio sul Monte San Michele, restando comunque in dotazione del Regio Esercito fino agli inizi del 1918. Quella delle maschere antigas fu una delle tante carenze nelle dotazioni logistiche, come anche nelle varie predisposizioni della guerra.
Ricordiamo che gli Austriaci con 14 Divisioni contro le 345 italiane erano già in allarme e preparati a ripiegare su posizioni difensive. Probabilmente, se il Generale Luigi Cadorna fosse stato più audace e meno attendista la guerra avrebbe potuto prendere un’altra piega, diversa da quella del logoramento in trincea e delle ripetute e ritenute inefficaci spallate delle 11 Battaglie dell’Isonzo. L’Italia era entrata in guerra con soltanto 30 aerei Blèriot, 20 Nieuport e 8 Farman, in quanto non ancora compresa l’importanza dell’ aviazione, ma più grave, fu il non aver capito che la mitragliatrice era la regina della “piccolissima guerra” dei Fanti.
L’Italia entrò in guerra con 618 mitragliatrici, due per reggimento, mentre gli Austriaci ne avevano due per battaglione. Le bombe a mano erano praticamente sconosciute, gli obici erano scarsi e forniti dalla Krupp. I fucili mod.1891, che venivano prodotti dalla Terni al ritmo di soli 2.500 al mese, erano tanto scarsi che parecchi reparti dovettero essere armati con il Vetterli mod.1870-’77. V’erano 3000 autoveicoli e 216 mila cavalli. Nonostante vari espedienti, il Capo di Stato Maggiore, Cadorna, nella prima fase della guerra, non era riuscito a fornire all’Esercito un numero sufficiente di Ufficiali. Tra l’altro, vi era una ufficialità di carriera formata in gran parte da aristocratici militari di famiglie blasonate. Il Corpo Ufficiali venne ovviamente integrato e quindi furono istituiti dei corsi per Ufficiali di complemento che tentarono di trasformare dei giovani civili, diplomati e spesso anche laureati, in comandanti di uomini.
C’è da dire che il peso delle più cruente battaglie furono di loro competenza, tant’è che circolava il motto salace: “gli Ufficiali di Complemento vincono le battaglie, gli Stati Maggiori perdono…le guerre!”
Si venne così a creare un vero e proprio “vallo di Adriano” tra gli ufficiali e la truppa, ma anche all’interno degli ufficiali si creò una crasi tra chi il militare lo riteneva una missione e chi invece era stato costretto dai gravi eventi a diventarlo. Gli Ufficiali di complemento considerarono i colleghi “di professione” quasi degli avventurieri che per carriera o per compiacere i vertici non esitarono a comandare attacchi cruenti spesso inutili alla baionetta, necessari solo per avere un encomio o una promozione sul campo. Proprio per questo spesso gli Ufficiali di complemento solidarizzarono con la truppa, non condividendo gli atteggiamenti oltremodo rigidi degli Alti Comandi che erano ad Udine, lontani dalle trincee e dalla difficilissima vita che vivevano gli uomini tutti i giorni.
Per reazione, il Generale Luigi Cadorna e il suo Stato Maggiore ritennero che un ruolo importante doveva essere assicurato dalla Giustizia Militare di guerra, quale unico strumento di disciplina ferrea con ruolo di rigida educazione e dissuasione di comportamenti ritenuti illeciti.
L’azione del Comando Supremo si svolse facendo pressione sui Tribunali Militari perché non si discostassero dalle richieste sanzionatorie che avanzava la gerarchia e, accortosi che in alcuni casi i Collegi agivano in libertà di coscienza perché era preponderante il numero dei giudici ufficiali di complemento che, più liberi di pensiero rispetto agli altri colleghi, in quanto provenienti dalla vita borghese, dal mondo del lavoro e degli studi, fece sì che nei collegi giudicanti l’elemento di militari di carriera fosse predominante.
Ma sappiamo bene dalla storia dove portò la linea Cadorna, con fucilazioni di massa di asseriti disertori (addirittura “decimazioni”), mentre sarebbe stata più pagante quella di Armando Diaz, certamente più umana e attenta alle esigenze dei militari.
Diaz, nominato Capo di Stato Maggiore dell’Esercito dopo Caporetto, non certamente perché più valido di Cadorna, come in effetti era, ma solo perché napoletano e quindi più vulnerabile e meglio censurabile in caso di eventuale definitiva disfatta, creò le premesse per la vittoria italiana galvanizzando le truppe per la riscossa che si verificò, come sappiamo, con la Vittoria delle armi d’Italia!
Sul tema della “grande guerra”, il 15 Ottobre 2014, anche: “L’ ultima marcia del Tenente Péguy“