Roma, 17 novembre 2020 – Nell’autunno del 1980 Umberto Eco non era ancora assurto alla fama di romanziere.
Umberto Eco era un saggista. Uno studioso di medievalistica e docente di semiotica. Uno dei più importanti intellettuali italiani. Ma era anche sconosciuto al grande pubblico.
E nessuno poteva immaginare che con la pubblicazione delle prime 30.000 copie del suo romanzo “Il nome della rosa”, avvenuta proprio nell’autunno dell’80, quaranta anni fa, la sua vita sarebbe cambiata.
Tutto grazie a quel libro di 576 pagine che poi avrebbe venduto 50 milioni di copie e che sarebbe stato tradotto in 40 lingue.
Un successo mondiale tutto meritato che, nell’86, venne poi adattato a finzione cinematografica con Sean Connery (recentemente scomparso) come attore protagonista.
E anche il film, al pari del libro, ebbe un successo fenomenale.
Il racconto è ambientato alla fine del 1327, al tempo delle lotte tra Papato e Impero, che di conseguenza coinvolgevano anche gli ordini monastici. E si svolge come un giallo.
Ma di altissimo livello culturale. Che solo la mente e la penna di Umberto Eco avrebbero potuto partorire.
Non a caso alcune pagine del libro sono anche molto complicate da leggere.
Come ad esempio quelle nelle quali si descrive con minuzia di particolari il portale della biblioteca.
Ma nonostante ciò, alla fine del libro, si aveva spesso la voglia di rileggerlo.
Perché Eco aveva colto nel segno, mescolando nella trama gialla del racconto la storia, la filosofia e la religiosità di quel Medioevo che molti definiscono “buio” ma che “buio” non lo è stato affatto.
Il giornale francese “Le Monde” ha inserito “Il nome della rosa” nei 100 libri del novecento.
Personalmente lo ritengo uno dei capolavori più belli che ho avuto la fortuna di leggere.