La battaglia di Megiddo

Una battaglia di oltre 3500 anni fa che ha risvolti anche nel nostro tempo.

Museo di Luxor: Statua di Thutmosi III

È l’anno 22 del Regno  di Men-Kheperu-Ra, il giorno è il 25esimo del 4° mese dell’Inverno… stiamo parlando verosimilmente, giacché c’è indecisione sul calcolo delle date, di un anno compreso tra il 1457 ed il 1482 a.C. …

Ma torniamo all’anno 22°, giorno 25 del 4° mese dell’inverno ed a quel nome così strano ed ostico da pronunciare che corrisponde, di fatto al “prenome” di un grande re dell’Antico Egitto: Thutmosi III, quello che, per gli studiosi di storia militare moderni fu il “Napoleone d’Egitto”.

Ben giustificato apparirà questo soprannome se si considera che a lui si debbono 17 campagne militari nonché soluzioni politico-militari-diplomatiche di valore, come vedremo, certo innovative.

Proprio nell’ambito della prima di queste campagne si inserisce quello di cui vorrei parlarvi.

Da sempre l’Egitto è stato circondato dai suoi nemici, dalle sabbie della Libia con le sue tribù, alle popolazioni Nubiane del profondo sud, agli “odiati” Sethiu: gli Asiatici. Tutte insieme, queste etnie costituivano “i nove archi”, ovvero i popoli nemici dell’Egitto che il Re calpestava ad ogni passo dato che proprio nove archi erano riportati sotto i suoi sandali o sul poggiapiedi del suo trono.

Ma il Principe di Qadesh, una città che ricorrerà spesso negli annali dell’Egitto faraonico, decide di opporsi al Re Thutmosi riuscendo a catalizzare attorno a se oltre 200 principi asiatici che operano al confine causando non pochi danni alle popolazioni alleate del “Grande Re”. L’esercito egizio è intervenuto già per operazioni di frontiera tentando di difendere gli alleati, ma si rende necessaria un’azione più decisa ed ecco che, in quel famoso anno 22, giorno 25 del 4° mese, Thutmosi inizia la propria campagna militare.

Dieci giorni e 200 kilometri dopo, proprio nel giorno di inizio del suo 23° anno di regno, Thutmosi ed il suo esercito hanno attraversato il deserto e si trovano in una località che, successivamente, i Filistei chiameranno Gaza. Altri dieci giorni e l’esercito si accampa ad Aruna, ai piedi della catena montuosa (che poi si chiamerà “del Carmelo”) che bisogna superare per raggiungere la piana di Megiddo in cui, vista l’avanzata nemica, si è schierato l’esercito dei Principi della confederazione asiatica.

Attorno al tavolo dello Stato Maggiore, nella tenda del Re, si affaccendano i suoi Generali; motivo del contendere è la scelta della strada da seguire per raggiungere la città: tre, infatti, sono i percorsi possibili. Due sono agevoli, ampi e consentiranno all’esercito, secondo i Generali, di poter procedere con il minimo rischio e di potersi schierare nella piana di Megiddo con rapidità ricostituendo i ranghi rapidamente per fronteggiare il nemico. Il terzo percorso, più breve, è però disagevole, passa per strette gole di montagna in cui addirittura lo stesso carro del Re passerebbe a stento e l’esercito si dipanerebbe in uno stretto e lungo serpentone che difficilmente potrebbe manovrare in caso di attacco nemico; basterebbe un uomo a tenere in scacco un intero esercito!

Ma il Re è irremovibile, proprio perché quel sentiero tra i monti è così disagevole, così “tatticamente” errato, il nemico non lo presidierà in forze o, magari, non lo presidierà affatto e proprio per quel sentiero dovrà passare l’intero esercito della Terra di Kemi (giacché questo era il vero nome dell’Egitto).

Il carro del Re si trova spesso sull’orlo di baratri di cui non si scorge il fondo o, al contrario, alla base di rupi altissime da cui anche un solo sasso, lanciato, potrebbe causare gravi danni; Thutmosi, girandosi, non riesce a vedere la fine di quella lunga fila di uomini che lo seguono fiduciosi poiché egli è come il Dio della Guerra alla testa dei suoi eserciti (“…Ecco, si diede ordine all’intero esercito di muoversi; sua Maestà procedeva su un carro di oro fino, equipaggiato con le sue insegne di guerra, come Horus dal braccio possente, signore dei riti, come Montu di Tebe, mentre suo padre Amon rendeva forti le sue braccia. …” dagli “Annali di Thutmosi III” nel Tempio di Karnak)

Ma ogni percorso, anche il più disagevole, è destinato a terminare ed il Re, preceduto dalla sua avanguardia, giunge nella piana di Megiddo, alle spalle dello stesso nemico che, come previsto, è pronto a fronteggiare proprio gli sbocchi dei due percorsi più agevoli.

Thutmosi potrebbe sbaragliare immediatamente la coalizione nemica, capeggiata dai Principi di Qadesh e di Megiddo, ma deve aspettare l’arrivo anche dell’ultimo uomo ed anche quando la retroguardia ha raggiunto il piano, il Re decide che si deve aspettare un giorno fausto e fa accampare i suoi uomini. Passano tre giorni poi, dopo una splendida notte con la luna nuova, al mattino del terzo il Re scatena il suo esercito, ormai riposato e riorganizzato, che ha immediatamente ragione del nemico che ripiega disordinatamente sulla città fortificata di Megiddo.

La fuga è così precipitosa che lo stesso Principe di Qadesh, per entrare nella città che ha ormai già chiuso le porte, deve farsi issare sulle mura con delle funi (“…Ed essi [i nemici] videro, invero, sua Maestà prevalere e corsero precipitosamente verso Megiddo, con visi terrorizzati, dopo aver abbandonato i loro cavalli e i loro carri d’oro e d’argento. Li tirò su, issandoli per le loro vesti, in questa città; infatti la popolazione aveva sbarrato questa città contro di loro, ma avevano calato delle funi per issarli su…” dagli “Annali di Thutmosi III” citato).

Il Re vorrebbe immediatamente approfittare dello strapotere, ma il suo esercito si ferma a saccheggiare il ricchissimo accampamento nemico (“…Furono allora catturati i loro cavalli e i loro carri d’oro e d’argento, come facile bottino, (mentre) le loro truppe giacevano prostrate come pesci in un’ansa della rete…” dagli “Annali di Thutmosi III”).

È gioco forza dover, perciò provvedere all’assedio di Megiddo, un assedio che durerà ben sette mesi e che si concluderà con la caduta della città e la cattura di oltre cento dei Principi asiatici ribelli, delle loro mogli, dei loro harem e, soprattutto, dei loro figli.

Dal tempio di Amon a Karnak: uno dei brani riportati in nota

Eppure, in un’epoca in cui la guerra è brutalità pura, Thutmosi III inizia una politica lungimirante ed accorta che ben giustifica, peraltro, proprio quel soprannome di Napoleone d’Egitto che sopra abbiamo visto. L’esercito confederato è ormai smembrato, la riunificazione sotto un unico comando è fallita e cessa, pertanto, di essere un pericolo per l’Egitto, la lega stessa si è dispersa ed è ormai frammentata nei molteplici regni iniziali, con piccoli eserciti, e piccoli principi, più facilmente controllabili: Thutmosi può dirsi soddisfatto della sua vittoria e, magnanimamente, libera i principi presi prigionieri a Megiddo rimettendoli sui rispettivi troni e facendo loro giurare che mai e poi mai rivolgeranno nuovamente le armi contro l’Egitto.

Il re tuttavia, per diritto di “bottino”, potrebbe far sue le mogli o le concubine degli sconfitti, potrebbe ucciderne i figli per non perpetuare le stirpi dei nemici, ma ben altro è il suo progetto. I figli dei Principi, infatti, saranno suoi ospiti presso la Corte egizia in una sorta di Accademia militare, il “Kep”, in cui verranno educati, acquisiranno usi e costumi egizi apprezzandoli e costituendo, quando torneranno sui troni dei padri, una futura classe politica “amica”. Questo non volendo citare, si intende, il ben valido deterrente costituito dalla loro presenza “a casa” del Re contro le eventuali idee di ribellione dei rispettivi genitori.

VII pilone del Tempio di Karnak: Re Thutmosi III tiene per i capelli un gruppo di Principi asiatici e leva in alo la mazza da guerra per colpire

Ma questa battaglia, in qualche modo, non termina in quel 23° anno di regno di Thutmosi: l’anno, questa volta, è il 1918 d.C. e si combatte la Prima Guerra Mondiale. Comandante delle forze dell’ Impero Britannico nell’area è il Generale Sir Edmund Allenby. Di fronte ha le forze dell’Esercito Ottomano che sono schierate nella piana di Megiddo, o meglio in quella che è intanto diventata Tell al-Mutesellim, nel territorio della futura Israele.

Ma Sir Allenby è un cultore di egittologia, conosce bene la storia di Thutmosi III e decide di seguirne le orme: nuovamente l’espediente di percorrere il disagevole sentiero tra i monti si dimostra una mossa vincente!

E pensare che c’è chi va a cercare misteri alieni di chissà quale genere nella storia dell’Antico Egitto, omini verdi da far assurgere a chissà quale fama di depositari del sapere, quando basterebbe, intanto, conoscerne davvero la storia per scoprire quali e quante capacità, dall’arte militare all’architettura, all’ingegneria, avevano esseri umani, talvolta divinizzati come nel caso dei Re ( Si sarà di certo notato che, nell’articolo, non ho mai usato il termine “Faraone” ma sempre quello di “Re” e questo perché tale termine, derivante da “Per-Aa”, ovvero “Grande Casa”, entrerà nell’uso comune per indicare i Sovrani dell’Antico Egitto solo a partire proprio dal Regno di Thutmosi III), in grado di concepire, come nel caso che vi ho appena narrato, strategie che anche a distanza di oltre 2500 anni dimostrano il proprio valore.

Per chi avesse la curiosità di sapere quale è la fonte del racconto della “Campagna di Megiddo”, preciso che questa è narrata negli “Annali di Thutmosi III”, in un lungo rilievo che circonda il sacrario del Dio, nel Tempio di Amon a Karnak (un frammento è riprodotto nell’immagine sopra riportata), nonché su una stele eretta a Napata, oltre la quarta cateratta del Nilo e perciò in pieno territorio nubiano, verosimilmente per servire da monito a quelle popolazioni magnificando le capacità guerriere del Re. Potenza della propaganda!

Un’altra piccola digressione, finale, riguarda Megiddo: secondo la religione ebraica, proprio nella valle prospiciente la città avrà luogo l’Armaghedòn (letteralmente Monte di Megiddo), ovvero lo scontro finale tra le forze del bene e quelle del male.

Cartiglio di Thutmosi III

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