Un fatto è certo. La Scuola, intendendo correttamente la totalità degli studi dalle Elementari all’Università, è stata distrutta da due ideologie complementari, voraci, anticulturali: quella cattolica e quella comunista (come aveva visto/temuto Gaetano Salvemini).
Un connubio in cui entrambe hanno giocato sporco tra loro e contro la società, al fine di appropriarsi (per piegarlo ai propri fini) dell’unico vero ostacolo al dominio sociale: l”inopinato gioiello’ ereditato dal Fascismo, la Scuola del ’23, pensata da Gentile e Salvemini; l’unica finora in grado di elevare ed emancipare i futuri cittadini.
Non è un caso che il “terrore” per un’eccessiva acculturazione sia sorto e sia stato sentito come pericolo imminente proprio negli anni Sessanta, quando finalmente, con la vivace ripresa industriale post-bellica ed un maggior benessere economico, un numero maggiore di famiglie era in grado di consentire ai figli studi più ampi e approfonditi, a cominciare dalla ‘fondamentale’ Scuola Media.
Non è un caso che proprio allora sia piovuta sulla testa dei cittadini la Riforma della Scuola Media (1962), che, ai fini di cui sopra, la degradò elementarizzandola: venne privata del latino, nonché di sostanza nelle altre materie e di responsabilità e merito (l’essenza).
Un affossamento del primo “ascensore sociale” (vero obiettivo dei mestatori), rivestito di truffe demagogiche per una Scuola che, insieme ad elementari già ampiamente svuotate d’impegno, sarebbe dovuta apparire come un’estensione del periodo di studio (Scuola dell’Obbligo di otto anni), ma senza che ciò comportasse un reale ampliamento culturale rispetto all’Obbligo di cinque anni.
Da una parte si circuiva la massa ignorante con la propaganda di una scuola allungata e facilitata, in cui ognuno potesse trovare il “proprio percorso” secondo le “proprie capacità e preferenze” (ecco i termini truffaldini didattico/ideologici dell’antipedagogia clerico-comunista che garantiva a tutti la -finta- promozione).
Dall’altra si scardinava l’insegnamento vero, formativo, emancipante, rendendolo vacuo, aleatorio, opinabile: personale, si bercia tutt’oggi. Il che, tradotto nella realtà, non è che l’origine del ritorno alle caste.
Una Scuola per legge non più istruttiva ma orientativa (trucco per accelerarne l’affossamento), che mirava in realtà a impedire che l’emancipazione culturale potesse alterare i rapporti di forza, le gerarchie, l’ordine sociale prefissati. Per questo nel contempo si trasformavano i professori, inconsapevoli, in demagoghi: cioè in strumenti ad uso del Potere, privati di professionalità (fine della libertà d’insegnamento, avvio dell’intrusione di partiti e sindacati!), la cui funzione non era più la trasmissione del sapere (che anzi veniva per legge limitato all’oscenità del permissivismo), ma la vigilanza pro tempore di nullafacenti viepiù deresponsabilizzati e per questo viepiù violenti. Una Scuola baby sitter e senza obblighi culturali: diseducativa.
Il ’68 ha poi radicalizzato lo scempio violentandola tutta, utilizzando lo stesso turpe metodo: intaccando il grado minore per investire poi i gradi più alti. Obbligando il livello superiore, fino all’Università, ad adeguarsi, sotto l’urto criminale di sindacalisti, politicanti e studenti negligenti (la scuola che boccia, che allontana, la mortalità scolastica), al grado d’ignoranza raggiunto dall’inferiore. Per questo siamo giunti alle sconcezze delle Lauree brevi, facili. Stoltezze che non sono che il completamento delle truffe ideologiche, le arlecchinate metodologiche, la scuola dalle classi aperte, le materie/sollazzo, la creatività (la bizzarria) come base scolastica operativa (altra oscenità).
Come se essa possa sostituire il sapere, quando invece, per la sua estrema profondità e completezza, la creatività si tocca talora eventualmente al grado massimo non al minimo delle conoscenze.
Come se la didattica vera, quella formativa, personalizzante, non fosse stranota, maledettamente risaputa.
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