Roma, 21 novembre 2024 – Poco più di quaranta anni fa, il 22 maggio 1984, dall’isola di Tenerife, nelle Canarie, partiva la Spedizione Atlantis.
Un’impresa apparentemente folle e bislacca, messa su da cinque argentini per dimostrare che già 3.500 anni fa si poteva navigare dall’Africa alle Americhe spinti solo da venti e correnti dell’Oceano Atlantico.
Il tutto per spiegare l’origine delle “Teste Olmeche” che si trovano in Centro America e che hanno degli evidenti tratti degli abitanti dell’Africa.
Se la missione fosse riuscita, infatti, sarebbe stato più facile dare ragione alla teoria che sosteneva che chi le aveva costruite veniva proprio dal Continente Nero.
Ideatore e promotore della spedizione era l’avvocato argentino Alfredo Barragán, che era stato attratto dalle traversate oceaniche fin da quando, ancora bambino, aveva letto un racconto di Thor Heyerdahl intitolato “Kon-Tiki” che parlava di un viaggio tra la Polinesia e il Perù.
La tesi sui viaggi dall’Africa alle Americhe già duemila anni prima di Colombo, gli dette il pretesto per ideare e pianificare la Spedizione Atlantis.
Con lui quattro compagni di avventura: Jorge Manuel Iriberri, avvocato come lui; il commerciante Oscar Horacio Giaccaglia, il cameraman Felix Arrieta e l’ingegnere agronomo Daniel Sánchez Magariños
Da notare che Arrieta non sapeva nuotare dunque, quando il turno di guardia toccava a lui, si faceva legare alla zattera, perché i cinque dovevano compiere la traversata con i mezzi di 3.500 anni prima.
Dunque partirono da Tenerife proprio su una zattera di nove tronchi di “balsa femmina” tenuti insieme da funi vegetali, una capanna di bambù sopra e una vela rimediata.
Non avevano il timone (che 3.500 anni prima non era stato ancora inventato) né altri mezzi moderni di navigazione.
In caso di pericolo avrebbero dato la loro posizione ai radioamatori. Perché folli va bene, ma suicidi no e una radio l’avevano comunque portata.
Il loro obiettivo era raggiungere le coste del Venezuela solo grazie alla spinta dei venti e delle correnti marine delle Canarie, dell’Equatore Nord e dell’Equatore.
Nella traversata ebbero problemi soprattutto per l’eccessiva esposizione al sole e per due grandi tempeste con onde di sette metri che quasi fecero naufragare (é il caso di dirlo) la spedizione.
Che invece riusci, visto che dopo 52 giorni arrivarono al porto venezuelano di La Guaira, dove Barragán chiuse l’avventura dicendo: “L’oceanografia ci ha dimostrato ancora una volta che qualsiasi cosa galleggi e finisca in acqua alle Canarie, viene trascinata verso le Antille, all’ingresso dei Caraibi. Questa deriva impiega tra i quattro e i cinque mesi, con una vela, il tempo si accorcia”.
Lui e i suoi compagni avevano riscritto la storia.
L’Argentina, fiera di loro, espose la zattera a Buenos Aires, di fronte all’Obelisco, per permettere ai loro connazionali di salirci sopra e capire la vita e i sacrifici che avevano fatto in quei 5.500 chilometri di Oceano Atlantico che avevano attraversato.
La Spedizione Atlantis fece cadere molti pregiudizi culturali e spinse scienziati e storici di tutto il mondo a modificare e riadattare le proprie teorie.