Epistolario d’amore di Federico De Roberto e Ernesta Valle
Roma, 16 dicembre – Certo, ci vuole fantasia e abilità linguistica, accanimento e fiducia, ottimistiche speranze cui dare il cibo di una passione a volte focosa e il vocabolario di uno scrittore per mantenere vivo e brillante un epistolario d’amore, per sette lunghi anni, dal 1897 al 1903, durante i quali Federico De Roberto, letterato siciliano e Ernesta Valle, signora dei salotti milanesi, moglie dell’avvocato messinese Guido Ribera, legati da un’ardente storia d’amore, arrivarono a scambiarsi anche una lettera al giorno.
Una relazione non solo letteraria, ma umanissima e fisica: “Non mi scrivere più che fai il bagno, non mi scrivere più che ti alzi nel cuore della notte: non mi dare l’immagine delle tue forme libere da ogni velo: se no andrò a finire in una casa di salute…” E più avanti: ”Spiegami che il tuo corpo, le tue forme, la tua carne, sono chiuse, ermeticamente, e che neppure tu stessa le puoi vedere; e che io, io solo, un giorno schiuderò con le mani febbrili quel tesoro, e me lo godrò, tutto quanto, tutto quanto, come non mai: che ti succhierò le dita dei piedini, che ti leccherò i ginocchi, che ti morderò, che ti…”(30 ottobre 1897).
Una passione che si nutre di immagini e ricordi, questi ultimi come lievito per le prime, ma anche di una puntigliosa enumerazioni di momenti sessuali ratificati dalle parole, con un erotismo disinibito e consapevole di essere un acciarino per incendiare il desiderio dell’amata, pur nella lontananza.
Oggi questa corrispondenza bilaterale è stata raccolta con cura filologica o meglio con amore e dedizione, ma anche con una passione tutta siciliana, in “Si dubita sempre delle cose più belle”, una grande pubblicazione della Bompiani curata da Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla. Il bel volume è pronto per noi. La lettura di un epistolario d’amore è per sua intrinseca natura il buco della serratura attraverso il quale si disvela un mondo intero, il lettore diventa allora un intruso, testimone di un tempo del sentimento che ha sospiri, estasi, languori, quando l’amore vola su territori di conoscenza e trasfigurazioni e lascia al lettore il gusto di una scoperta letteraria fatta solo per lui, il terzo indispensabile incomodo, il notaio, il recensore.
Anche l’amore più romantico però non vive solo di se stesso: ecco dunque che le lettere di De Roberto diventano un tramite, una via d’accesso per sondare e scoprire l’uomo, ma anche i paradigmi culturali sui quali si costruisce la sua opera e l’epoca storica che lo ospitò.
Lui, il grande scrittore, in fondo come tutti gli uomini borghesucci nell’anima, vagheggia un accomodamento che non lo sottragga ai suoi affetti e alle sue routine, magari trasferendo in blocco a Milano, dove risiede l’amata, la famiglia intera, la sua copertina di Linus ante-litteram, mamma, fratello, moglie, bimba e bambinaia. Infantilismo e maschilismo puro, rinfocolati dall’adorazione cieca delle donne dell’epoca, persino di quelle che si confrontano con una società più avanzata rispetto a quella siciliana.
Scrive Ernesta Valle, a proposito de “ Gli Amori” : “ Ti adoro, ti ammiro … sono gelosa delle sensazioni che devi avere provato per potere scrivere così, gelosa della perfida creatura che t’ha fatto soffrire ispirandoti così elevati sdegni, fremiti ardenti, compassioni profonde e voluttà infinite”.
Se si va a scavare, tante fragilità e piccole vigliaccherie vengono fuori come una cascata. Schiavo consenziente di una madre che lo strozza e lo soffoca, quella donna Marianna degli Asmundo della razza dei Viceré, accanita nel suo amore/passione per il figlio maschio, ahimè, tanto comune in quelle generazioni che si alimentano del trascolorare del secolo, Federico è tuttavia un figlio incapace di risolvere l’impellente problema della sopravvivenza economica. Federico ricambia tanto amore con un rapporto imprescindibile fatto di dipendenze, tanto da vagheggiare di riprodurne lo schema affettivo con un’amante che abbia la capacità di indossare i ruoli di madre tenerissima e di irrinunciabile amica e da credere di averlo ritrovato in Ernesta, detta Renata perché rinata all’amore, nella Milano ribollente di “febbre di vita”, come diceva Verga. Ma non solo, De Roberto vuole da questa capitale nella quale passa più tempo possibile, vivissima di entusiasmi letterari, tutto ciò cui agogna, Renata, Amore, Gioia, Voluttà, Conforto, Pace, Sorriso, Bellezza, Tripudio…
Ma il terreno sul quale germoglia la sua vis letteraria è tuttavia la Sicilia. Quella Sicilia che partorisce gli Uzeda di Francalanza, i protagonisti del suo capolavoro, “I Viceré”, le loro follie, il decadimento di una stirpe reale germogliata in terra di Spagna, investita dalla bufera risorgimentale, ma pronta a risorgere per abilità trasformistiche con la stessa boria, l’arroganza, l’avidità, sempre in prima linea, fermamente allacciata al potere come ad un amante irrinunciabile, al di là del disinganno di una realtà politica parlamentare penalizzante come quella borbonica appena distrutta, anzi con in più un bagaglio di delusioni morali e politiche gravoso e ineludibile.
Ad Ernesta, amabilissima e confortante presenza sempre, Federico confida l’ambizione di scrivere per il teatro, lui che nel capolavoro era stato così parco di parole. L’esperimento sarebbe stato affidato a “ Il Rosario” dove impera una madre dispotica e tirannica, ma lo scioglimento della compagnia “Teatro d’Arte” di Domenico Lanza che avrebbe dovuta metterla in scena, in un certo senso è la fine della sua ambiziosa aspirazione ad abbandonare la pagina e a far capolino su un palcoscenico. Perché fu altrettanto infelice l’esperimento di mettere in scena “La Fede”, che su consiglio di Renata/Ernesta era comparso dapprima in versione letteraria.
Momenti di vita e scelte letterarie che vengono fuori a getto continuo in questo interessante epistolario che si legge avidamente, un’autentica miniera di informazioni che rendono conto di un uomo, uno scrittore, una realtà storico-sociale sulla quale fiorisce il nostro presente.
Federico De Roberto, Ernesta Valle “Si dubita sempre delle cose più belle”, a cura di Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla. Saggi Bompiani , 2014.