ALLARME MAFIE IN VENETO, ORMAI PERICOLO REALE DA FRONTEGGIARE CON FATTI E NON PIU’ CON SOLE PAROLE!

Grande l’allarme: le mafie si infiltrano sempre più nel ciclo imprenditoriale del Veneto, sfruttando la gravissima crisi economica.

A Mestre, è iniziato il processo contro ventisette “Casalesi” venetizzati, il cui capo è Mario Crisci, da Castelvolturno, 35enne, che operava sotto l’egida della società “Aspide” con sedi a Milano e Padova, con giri di usura colossali attuati con metodi mafiosi nei confronti degli imprenditori in difficoltà. Dalla stampa si apprende che le indagini sono state svolte dai bravissimi Carabinieri del Reparto Operativo di Vicenza, vero polo di eccellenza dell’intero comparto sicurezza regionale, i quali hanno evidenziato come quell’associazione mafiosa commettesse sequestri di persona a scopo intimidatorio, pestaggi bestiali dimostrativi, ricatti e minacce, ma si apprende anche di situazioni di omertà, davvero prima impensabile in Veneto. Si apprende, ancora, di un albergo del Trentino, “rilevato” con minacce ai due proprietari, costretti poi a firmare davanti al Notaio la rinuncia ad ogni diritto, come anche di mozzarelle di bufala campana di Casal di Principe recapitate come minaccia inquietante agli imprenditore recalcitranti, giungendo ai centri di benessere finiti nel mirino della mafia casalese. Vero e proprio allarme, quindi, espresso nei giorni scorsi dal Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Senatore Giuseppe Pisanu, nella missione di due giorni a Venezia, sulla “Delocalizzazione delle Mafie in Veneto”. I numerosi casi di suicidio di imprenditori, causati dalla crisi che sta condizionando il sistema veneto, sino a due anni addietro definito giustamente la “Locomotiva d’Italia”, sono stati alla base della discussione della Commissione Antimafia. “In un territorio funestato dai suicidi degli imprenditori”, ha detto Pisanu, “a causa della stretta del credito e della crisi economica, l’esposizione alle infiltrazioni mafiose aumenta esponenzialmente…….sappiamo che le mafie qui non hanno messo radici, ma che hanno delocalizzato loro imprese criminali e stanno pericolosamente infettando l’economia legale……sappiamo bene che la società civile del Veneto non è disponibile a farsi colonizzare e che è alta l’attenzione delle Forze dell’Ordine e della Magistratura. Ma la minaccia mafiosa incombe su tutto il Veneto e non deve essere sottovalutata; i cittadini devono alzare la vigilanza contro questo cancro”. Nella circostanza, il dottor Alberto Baban, Vicepresidente di Confindustria Veneto, che ha partecipato all’incontro, ha voluto precisare: “Non è una novità che le mafie si stiano introducendo nel tessuto imprenditoriale veneto….il problema vero è che veniamo a conoscenza dell’avvicinamento delle organizzazioni criminali all’imprenditoria veneta solo dopo che questo è avvenuto…… Poi, si sa com’è dalle nostre parti. E’ quasi impensabile per un imprenditore rinunciare al proprio successo. Salvare il business è la cosa più importante. Anche per queste ragioni a volte ci si incastra in situazioni poco piacevoli e che non vedono una programmazione preventiva…. l’unica cosa che possiamo fare è stimolare e mettere al corrente la classe imprenditoriale che esistono opportunità per uscirne e voltare pagina. Questo è anche utile per limitare i suicidi. Arrivare a dire all’imprenditore che sceglie di compiere il gesto estremo dettato soprattutto dalla disperazione, che prima di farlo ci sono possibilità per cambiare e uscirne. Noi facciamo il possibile per aiutare i nostri soci”. Su questa ampia e preoccupante problematica, in un convegno in Veneto di alcuni mesi addietro, si era anche espresso il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone (da poco a Capo della Procura della Capitale), asserendo che “”Il Veneto è certamente una delle regioni dove vi sono degli indicatori di rischio legati all’economia. La presenza di ’ndrine è stata riscontrata con certezza in Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna. Per le caratteristiche economiche è facile intuire che il modello è riproducibile anche nel Veneto. Le ’Ndrine si insediano con caratteristiche legate ai clan familiari e soprattutto in due settori: quello del movimento terra e più in generale dell’edilizia e quello del traffico di stupefacenti. Il grande rischio di questa regione, adesso, è che a causa della carenza di liquidità, molte imprese in difficoltà si rivolgano a queste organizzazioni per ottenere denaro a buon mercato. Questi tentativi di impossessarsi di società anche di media dimensione deve preoccupare””. Dalle relazioni di Prefetti, Questori, Direttore Dia e Comandanti di Carabinieri e Guardia di Finanza della Regione alla Commissione Parlamentare presieduta dal Senatore Pisanu, si evince che esiste un “quadrilatero” costituito da Verona, Vicenza, Modena e Reggio Emilia e che a Verona sono stanziali un gran numero di mafiosi calabresi. Interessante il dato secondo cui la ‘Ndrangheta è leader nel settore del ciclo del cemento e che il lato ovest del Veneto si evidenzia come una enclave della Calabria, dove si riciclano enormi somme di denaro provento dal traffico di stupefacenti. Sono infatti stanziali numerosi affiliati ai potenti clan dei Dragone-Mannolo e Grande Aracri di Cutro, Anello-Fiumana di Filadelfia, Vrenna-Ciampà Bonaventura di Crotone, Papalia-Italiano di Delianuova, Morabito-Pangallo-Marte di Africo Nuovo, Bellocco di Rosarno, Piromalli-Molè di Gioia Tauro. La grande (in negativo) storia delle mafie in Terra Veneta, che oggi fa meravigliare e allarmare tanti, sino addirittura autorevoli rappresentanti delle Istituzioni, ha però storia antica, che Inizia alla fine degli anni sessanta, causata dalla presenza di membri delle cosche siciliane in soggiorno obbligato. Tra i nomi più noti, Salvatore Contorno, Gaetano Fidanzati, Antonino Duca e Gaetano Badalamenti. Formati da tali “grandi maestri”, in quegli anni, la criminalità veneta, sino allora a carattere locale e di piccolo cabotaggio, fece un salto di qualità, segnalandosi per efferratezza e capacità di gestione dei traffici criminali esistenti nella Regione. Si giunse così, in un arco di tempo non molto ampio, alla cosiddetta “mala del Brenta”, del veneziano Felice Maniero, con basi logistiche nella Riviera del Brenta, tra Venezia e Padova. Maniero e i suoi “ragazzi”, effettuarono spettacolari imprese quali le rapine all’Hotel “Des Bains” al Lido di Venezia, famoso ai più perché lì si ambientò il film “Morte a Venezia”(1982) e alla Stazione ferroviaria di Mestre (1982), con irruzione memorabile all’ Aeroporto di Venezia (1983), asportando ben 180 chili di oro custoditi nel caveau della Dogana aeroportuale. A ciò si aggiunsero i sequestri Rosso Monti, Andreatta e Bonzado. Non omise, il “Faccia d’Angelo”, di dedicarsi al traffico di droga, al controllo del gioco d’azzardo clandestino e alle pratiche dell’estorsione e dell’usura. Dai quaranta o poco più elementi, si arrivò a contarne oltre quattrocento, tra banditi in servizio permanente effettivo e fiancheggiatori. I successi criminali furono dovuti ad un pressante controllo del territorio ma grazie anche all’adozione di un modello gestionale di vero stampo mafioso, tra cui l’uccisione di testimoni pericolosi e di membri della banda divenuti inaffidabili. Sul finire degli anni Ottanta, si aggiunse anche il contrabbando di armi con la ex Iugoslavia. Durante il processo, che si aprì il 27 novembre 1993 nell’Aula bunker di Mestre e che vide alla sbarra Maniero insieme con altri 109 imputati, furono formulate accuse pesantissime: omicidi, rapine, estorsioni, usura, riciclaggio, traffico di eroina, sequestri di persona, il tutto inserito nel reato mai prima contestato in Veneto di associazione per delinquere di stampo mafioso (art.416 bis CP). Ma non c’era solo Maniero ad affliggere criminalmente il Veneto. Infatti, nella prima metà degli anni Ottanta, anche la città di Verona divenne polo strategico del traffico di droga tanto da conquistarsi la non invidiabile denominazione di “Bangkok d’Italia”, in quanto centrale per le rotte dell’est e del nord Europa, con accertati collegamenti con le mafie nostrane e la potente mafia turca, sviluppando anche il contrabbando di armi e di componenti per ordigni nucleari. Fatta questa disamina sulla situazione criminale in Veneto, che ora tanto preoccupa, c’è da dire che sulle Mafie insediatesi in Nord Est c’è stata colpevole indifferenza e sottovalutazione da parte della Politica di qualsiasi colore, che non ha colto o voluto cogliere i preoccupanti segnali lanciati, nel tempo, dalla esemplare Magistratura e dalle benemerite   Forze di Polizia, per cui oggi viene da sorridere di fronte allo stonato e tardivo “suono della Diana”. Nel clangore pre-elettorale, che poco può interessare al cittadino dabbene, ormai permanentemente disgustato dai caroselli circensi della politica, va invece tenuto conto delle parole di condanna della Chiesa, che nel 2010, nel Documento della CEI: ”Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno”, asserisce: ””La criminalità organizzata non può e non deve dettare i tempi e i ritmi dell’economia e della politica, diventando il luogo privilegiato di ogni tipo di intermediazione e mettendo in crisi il sistema democratico del Paese, perché il controllo malavitoso del territorio porta di fatto ad una forte limitazione, se non addirittura all’esautoramento dell’autorità dello Stato e degli enti pubblici, favorendo l’incremento della corruzione, della collusione e della concussione, alterando il mercato del lavoro, manipolando gli appalti, interferendo nelle scelte urbanistiche e nel sistema delle autorizzazioni e concessioni, contaminando così l’intero territorio nazionale””. Questa la vera realtà italiana; parole che sono macigni, pronunciate da un’Istituzione, la Chiesa, appunto, che abitualmente calibra prudentemente ogni parola…..
Nel documento in questione, la CEI conclude indicando i modelli di impegno per i Cattolici; si tratta di veri e propri Giganti della legalità, la cui vita sublimata dal martirio, li pone a modello di coraggio e guida per tutti. Essi sono: don Pino Puglisi, don Peppe Diana e il Giudice Rosario Livatino; Uomini con la “U” maiuscola, che hanno unito la Fede all’azione militante contro l’illegalità, perdendo la vita per un ideale di Giustizia, ahimè quanto difficile da perseguire in questo vuoto cosmico di valori!
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