In questa situazione emerge prima di tutto il tentativo di Renzi di calmare questa esasperazione perché essa, è innegabile, pesa, e pesa per più di una ragione, sul governo, “i risparmiatori saranno risarciti”.
Poi, il “freno” a questa dichiarazione, “ma solo quelli dei quali, ad un attento esame, risulterà palese o inconfutabile la posizione di “truffati”…(…e quali sono i “truffati”?) e, mentre le entità di risarcimento si valutano con il contagocce, si fanno strada i meccanismi di interpretazione delle truffe.
I parametri sono sostanzialmente due, obbligazioni subordinate e azioni.
Innanzi tutto, chi ha investito l’intero capitale di cui disponeva nelle famigerate “Obbligazioni Subordinate” è riconosciuto “truffato”, ma chi ha distribuito quel capitale in una tipologia diversificata di titoli…no!, perché questo indicherebbe la “consapevolezza” del rischio e il tentativo di affrontarlo e di combatterlo controbilanciandolo con altri titoli…”…e qui casca l’asino…” perché il “rischio” di cui i risparmiatori e gli investitori, eventualmente sono messi al corrente, in questo settore è sempre e solo uno, quello della “fluttuazione” dei valori dei titoli in base all’andamento della borsa.
Tale “fluttuazione” è un fenomeno piacevole o spiacevole, a seconda dei casi, per l’investitore ma normale nei meccanismi finanziari.
Qui però non si tratta di “fluttuazione” del valore del denaro in base all’andamento della borsa ma di perdita dei capitali a causa del “FALLIMENTO” della banca, la qualcosa rappresenta una situazione completamente diversa da quella in discussione per cui non si può liquidare il problema così, con due classificazioni matematiche e asettiche.
Ed è proprio in questo concetto la responsabilità di Renzi e dei suoi codicilli inseriti alla chetichella e in fretta e furia nel ddl “salva banche” e i diritti dei risparmiatori, investitori in uno o più titoli (escluse le azioni).
Diverso è invece il discorso sulle “azioni”. L’ “acquisto di questi titoli” presuppone la conoscenza e l’accettazione dell’alto rischio derivante dall’ ”acquisto” di una parte dell’istituto già notoriamente in difficoltà. Non si tratta di “affidamento” o di “prestito” dei propri risparmi all’istituto per cui possono essere fatte tutte le analisi e le riflessioni che si vuole, ma è su questo concetto che deve essere rivisto il “bail in”.
Il “bail in”, inglese “cauzione”, significa “salvataggio con le proprie risorse interne” vale a dire con i capitali depositati dai risparmiatori e dagli investitori.
È ovvio che se fosse prospettata la perdita dei capitali a causa del rischio del “fallimento”, l’istituto perderebbe ogni specie di investitore, specialmente nelle “azioni”, per cui questo rischio è stato taciuto.
A questo punto il risparmiatore che ha investito nelle obbligazioni, qualsiasi esse fossero. Egli ha solo “prestato” i suoi risparmi alla banca e non è diventato proprietario di niente per cui il dovere al ‘bail in’ non ce l’ha assolutamente e, in una forma diversa, i titoli che rappresentano i capitali “prestati” alla banca da qualunque tipo di investitore, non hanno alcun dovere di essere colpiti perché non indicano alcuna proprietà della banca in difficoltà.
Questo dovere ce l’hanno solo le azioni perché queste rappresentano l’acquisto e la proprietà di una parte della banca.
Il ragionamento sulle “obbligazioni” potrebbe essere applicato, per assurdo, anche alle azioni, “se tu mi avessi avvisato che l’istituto era in fallimento, io, le azioni, non le avrei acquistate”, ma, è implicito che “qualsiasi cosa” avvenga ad una “ragione sociale”, ne è responsabile ed è tenuto a risponderne e ad accettarne le conseguenze, chi “gode” anche di una piccola parte di proprietà di questa “ragione sociale” e non altri perché è tenuto ad accettare, come il “godimento” di tutti i benefici, anche tutte le conseguenze non felici del rischio cui, consapevolmente, è andato incontro.