Commissione Parlamentare sul caso Moro, le parole del Magistrato Pietro Calogero
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Roma, 13 novembre – Un articolo di Stefania Limiti dell’ 11 novembre 2015 su ” Il Fatto Quotidiano”; è stato ascoltato dalla Commissione Moro in merito alle sue indagini sull’Hyperion, l’ex PM Pietro Calogero, nonostante il tempo passato. “Senz’altro è l’audizione più importante che abbiano fin qui realizzato”, ha detto il Senatore della minoranza Democratica Federico Fornaro. Calogero ha infatti raccontato cose molto interessanti, in parte “secretate” per scelta del Presidente Fioroni. Il Magistrato aveva già esposto la sua esperienza in un libro pubblicato alcuni anni addietro e passato piuttosto inosservato nel quale, tuttavia, non ha riportato almeno un paio di rivelazioni messe ora a disposizione della Commissione Moro: “Aspettavo che mi chiamasse un organismo d’inchiesta per poter dire qualcosa in più”. Non gli sembrava serio metterle in un libro, tiene a parlare solo nelle sede istituzionali: lo ripete ai giornalisti che lo aspettano fuori dal Palazzo di San Macuto. Calogero ha raccontato innanzitutto che l’ex Capo dei Servizi Segreti (SISDE) Giulio Grassini, piduista, boicottò l’indagine sulla scuola di lingue Hyperion, “una centrale informativa legata alla intelligence americana e impegnata in una azione informativa e di controllo dell’espansione comunista in paesi chiave dell’Europa”. Il Pubblico Ministero, in quei giorni, ricevette una telefonata del Ministro dell’Interno dell’epoca, Virgilio Rognoni, che gli assicurava tutto il suo sostegno e la disponibilità piena di due ottimi investigatori, Luigi De Sena e Ansoino Andreassi (il primo scomparso recentemente, il secondo già ascoltato dalla Commissione). Il suo team si mise al lavoro, riuscì ad individuare una sede in Normandia della scuola di lingue. Lì telefonavano tutti gli uomini intercettati: ma quell’utenza era superprotetta e così la villa, “circondata da un triplice anello concentrico di sensori molto sofisticati che impedivano ogni avvicinamento. I nostri colleghi francesi ci spiegarono che si trattava di una sede coperta della Cia che possedeva ville di quel genere in altri capitali europee utilizzando apparecchiature così potenti”. E’ in quel momento che si intromise il Sisde: Grassini telefonò ai Servizi francesi per chiedere informazioni sull’utenza coperta; subito dopo uscì un articolo sul “Corriere della sera” che dava conto delle indagini: “I Francesi a quel punto si rifiutarono di continuare la collaborazione con noi, questi metodi, ci dissero, li screditavano”. “Sicuramente – ha aggiunto il Presidente della Commissione Parlamentare, On. Giuseppe Fioroni – capirono anche che almeno una parte del Servizio non voleva indagare…”. Gli investigatori di Calogero scoprirono una sede in Belgio e una a Londra dove si recarono chiedendo aiuto a Scotland Yard che ufficialmente non sapeva nulla, ma accadde un fatto strano: “La stanza d’albergo di De Sena fu messa sottosopra, nulla fu portato via, neanche uno spillo: un avvertimento chiaro. De Sena mi chiamò spaventato, gli dissi di lasciar perdere e di rientrare. Solo gli inglesi sapevano di quella missione. Ci mandavano a dire in quel modo che non erano disponibili a collaborare”. Sin qui l’articolo della giornalista Stefania Limiti. Ora, diciamo subito di aver letto e brevemente recensito, anni addietro, su questa testata, il citato libro, del quale suggerisco la lettura, che porta la firma di Pietro Calogero, dal titolo: “Terrore rosso , dall’Autonomia al partito armato”. Pietro Calogero, come chi ha gli anni giusti e memoria lunga per ricordare, già nel 1979, quand’era alla Procura di Padova, con la sua inchiesta storica “7 aprile”, toccò un ambito importante e strategico: il rapporto fra i dirigenti storici di Potere operaio (e poi Autonomia), Toni Negri in testa, e le Br. Secondo la tesi investigativa, esistevano legami talmente stretti che addirittura si poteva individuare nella leadership dell’Autonomia il “cervello politico-intellettuale” dell’organizzazione militare brigatista. Questo ruolo, secondo Calogero, Negri e gli altri lo avrebbero svolto a Parigi, all’ombra dell’ istituto di lingue chiamato Hyperion, fondato nel 1974 da Corrado Simioni. Ma la sua inchiesta non andò a buon fine perchè sabotato da pilotate improvvide campagne di stampa condotte da intellettuali di sinistra, mentre gli inquirenti francesi, che avevano inizialmente promesso collaborazione, all’improvviso la negarono e il Magistrato padovano non riuscì ad avere gli elementi utili al proseguimento dell’importante indagine giudiziaria. Il 7 aprile 1979, furono effettuate centinaia di perquisizioni in tutta Italia, con l’arresto, sulla base di 22 ordini di cattura firmati da Calogero, nei confronti di 15 esponenti di “Autonomia Operaia”, tra cui Toni Negri e Oreste Scalzone, mentre fuggirono all’arresto, tra gli altri, il noto Franco Piperno. Erano tutti professori, assistenti e studenti universitari e giornalisti, tutte persone di alta cultura, tutte protese ad avvelenare non solo le coscienze con i loro scritti, ma disposti anche ad imbracciare le armi, come si evince dai capi di accusa. Dodici degli imputati furono incriminati anche “…..per aver organizzato e diretto un’associazione denominata ‘Brigate Rosse‘ … al fine di promuovere l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato e mutare violentemente la Costituzione e le forme di governo sia mediante propaganda di azioni armate contro persone e cose……..”. Chi erano questi signori, tutti ben acculturati nelle farneticazioni deliranti dell’ultracomunismo più becero e violento? Certo, in quei tragici anni ‘70, così lontani, eppure tanto vicini a noi nel tempo e nella memoria, non ci fu un autorevole Uomo di Stato che abbia potentemente urlato contro questi “Cattivi Maestri”, chiamando a raccolta le coscienze migliori per contrastare la guerra civile che si andava delineando. Con azione di supplenza, ci fu solo la Magistratura, unitamente alle sempre benemerite Forze dell’Ordine, unico presidio di Legalità democratica, come lo sono ancora oggi, a contenere senza sostegno morale e materiale l’urto nelle piazze di “canee” scatenate e folli, spesso armate di congegni micidiali. Come non ricordare i motti e i lazzi del tenore:”Carabiniere basco nero primo posto al cimitero!”; cambiato dalla stessa imbecille ubriacatura ideologica, in tempi molto recenti, in:”10-100-1000 Nassiriya!” Andavano, quindi, di scena questi tristi personaggi, che giudicarono e condannarono a morte il povero Commissario Luigi Calabresi per una morte, come stabilirono le indagini, assolutamente accidentale dell’ anarchico Giuseppe Pinelli. Questa farsa sanguinaria ispirò pure la lettera che fu pubblicata su “L’ Espresso”, firmata da 800 intellettuali, di cui alcuni di loro, ma solo alcuni, chiesero poi tardivamente scusa. “Dovrà rispondere di tutto. Gli siamo alle costole, ormai, ed è inutile che si dibatta come un bufalo inferocito….. Qualcuno potrebbe esigere la denuncia di Calabresi per falso in atto pubblico. Noi, più modestamente di questi nemici del popolo, vogliamo la morte… ” (così si scriveva su Lotta Continua del 6 giugno 1970). In quel periodo, diversi giornalisti, non legati a “Lotta Continua”, prestarono il loro nome firmando il giornale come direttore responsabile per consentirne la pubblicazione. Come scritto L’Espresso, in tre successivi numeri apparsi in edicola a partire dal 13 giugno 1971, pubblicò la lettera di cui sopra. Tra i firmatari c’erano artisti, registi, editori, giornalisti, politici, accademici, filosofi, scienziati, sindacalisti e, in generale, molti tra i più noti esponenti della cultura italiana del tempo. Di questi, taluni, nel tempo, sono divenuti importanti esponenti della politica nazionale, mentre altri ricoprono ancora posti di rilievo nella società odierna. Sul Caso Moro, il mistero ancora incombe. Proprio per questo, che dire dei BR dissidenti Morucci e Faranda, che si trasferirono a casa di un giornalista di un quotidiano della Capitale e infine nell’ abitazione romana di Giuliana Conforto dove furono arrestati il 29 maggio 1979? Del caso, va ricordata la circostanza che la mitraglietta Skorpion con cui fu ucciso il Presidente della Dc fu ritrovata proprio in quella casa, in via Giulio Cesare 47, di proprietà della citata Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto, alias agente “Dario”, capo della rete spionistica del Kgb della Russia comunista in Italia. Poi, che dire della sentita necessità che si chiariscano tutti questi spaventosi intrecci e che si approfondisca una volte per tutte il gran tema delle aree della contiguità mai scoperte, cioè quegli ambiti della società, della politica, del sindacato e della cultura in cui le Br hanno sempre goduto di forte simpatia e grande sostegno? Certo, sono troppe le amnesie, eccessiva la superficialità con cui la gente è indotta da falsi profeti a ragionare di terrorismi. Sì, questa è la storia infinita della tragica eterna pagina del terrorismo! L’unica speranza di acquisire qualche verità sul caso Moro, ci proviene ora dall’attuale Commissione Parlamentare d’inchiesta, presieduta dall’On. Giuseppe Fioroni.