Coabitiamo con i terroristi della Jihad internazionale?
Mentre il Ministro dell’Interno tuona annunciando linea dura contro il commercio abusivo di capi griffati sulle spiagge, definendo i venditori ambulanti extracomunitari “orde di vu’ cumprà“, sull’ultimo numero de “L’ESPRESSO” del 14 agosto, leggiamo di una tematica ben più importante che riguarda la sicurezza di tutti, e questo nell’ interessante articolo di Paolo Biondani dal titolo:”I terroristi della porta accanto”.
Bene, chi sono? “Ecco le loro storie: uno faceva il barbiere a Milano; l’altro lavorava in una cooperativa di pulizie in provincia di Varese; il terzo sfacchinava come muratore in nero nei cantieri tra Bologna e Padova. Molti si sono spaccati la schiena come braccianti nelle campagne tra Sicilia e Lazio. Qualcuno viveva di espedienti a Torino, Milano o in altre città del Nord, tra spaccio di strada, rifugi-dormitorio, documenti falsi e carcere. Ma i più rispettavano la legge e lavoravano onestamente in negozi, ristoranti e piccole imprese sparse per mezza Italia. E non manca qualche cittadino italiano di fede islamica. Il fenomeno sta assumendo proporzioni che allarmano le Forze di Polizia di tutto l’occidente. L’incubo è che tra le migliaia di volontari della nuova Jihad internazionale, i più esaltati possano tornare in Europa, magari in Italia. Con un’esperienza di battaglie, eccidi e attentati in grado di trasformarli in micidiali macchine da guerra…. Secondo una stima di Europol, sono almeno 2300 gli estremisti partiti dall’Europa per fare la jihad in Siria. I Paesi ritenuti più a rischio sono Francia e Germania, ma il nostro è tutt’altro che immune. E sconta anche il problema degli Imam predicatori d’odio come quello della Moschea di San Donà di Piave espulso (nei giorni scorsi) dopo le frasi contro gli ebrei: “Allah, uccidili tutti””.
Da qui, la domanda più che legittima che proviene dal cittadino italiano, già allarmato da fattori devastanti di delinquenza predatoria violenta interna che sembrano interessare poco alla politica, su cosa realmente siano e facciano i Servizi Segreti italiani; cioè quegli apparati d’intelligence (costati 565 milioni di euro nel 2010, implementati a 645 nel 2013, con previsione di altri cospicui stanziamenti ad hoc della Presidenza del Consiglio per finanziare operazioni particolari) preposti per individuare focolai di terrorismo esterno. Sono efficienti; si sono rinnovati? Va detto che, secondo i concetti moderni, la figura dell’ agente segreto è cambiata, cioè non più l’operatore solitario, in possesso di un certo numero di fonti informative, che con il suo metodo acquisito con l’esperienza di strada elaborava analisi. Oggi, invece, sono necessari “gruppi di analisi” che, in perfetta sinergia, offrono una interpretazione specialistica che confluisce nella più compiuta analisi organica. Oggi, forse, non tutti sanno che si può conquistare il potere in un territorio, o annetterlo alla propria sfera di influenza, senza cannoni, truppe da sbarco e missili, ma creando le premesse e sviluppando una crisi finanziaria per acquisire la maggioranza del capitale delle principali industrie e banche che operano nel territorio stesso, assicurandosi la fornitura delle fonti di energia. Ma oggi si ravvede anche la necessità di utilizzare, in modo sistematico, i servizi nazionali di intelligence anche per contrastare la criminalità organizzata transnazionale per due ordini di motivi. La prima è che la criminalità organizzata è ormai un fenomeno strutturalmente transnazionale, come già accade a buona parte dell’economia mondiale, mentre la seconda è che le modalità operative della criminalità organizzata presentano alcuni aspetti che non possono essere contrastati senza l’apporto delle tecniche di intelligence. Intanto, va auspicato che si tenga conto della necessità della collaborazione internazionale sempre più da implementare. E questo perché, sia nel terrorismo, sia nel campo delle mafie transazionali, vi è un Paese di origine, un Paese di transito, un Paese di destinazione. Le indagini, solitamente, iniziano nel Paese di destinazione (l’Italia) e sarebbe quindi necessario che esse si potessero svolgere, a ritroso, in quello di transito e di origine per individuare l’intera catena e la filiera delle persone coinvolte. Ma questo non sempre accade. È ormai una convinzione universalmente condivisa che la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata siano un sfida globale che, come tale, necessita di una risposta adeguata ed efficace da parte di tutti gli Stati.
Su questo tema, certamente, non si scherza…..La politica nazionale, quindi, oltre alle riforme costituzionali delle quali al cittadino oberato di tasse e malservizi poco o nulla interessa, faccia bene la sua parte per una sicurezza adeguata dei cittadini…da qualsiasi parte provenga il pericolo….non solo da parte dei “vu’ cumpra’”……!