La trasmissione fu tanto chiara e lucida che il concetto della funzione delle Imposte Indirette venne compreso anche dalla gente comune.
Il concetto era: all’epoca, studi giapponesi avevano dimostrato che l’evasione delle Imposte Indirette, l’Iva prima fra tutte, rappresentava il “bubbone” del deficit dell’economia italiana.
La spiegazione è semplice: “Le imposte Indirette sono imposte antieconomiche perché impediscono all’economia di decollare in quanto appesantiscono i prezzi al consumo. Questo causa, di conseguenza, che i consumatori, per difendersi, hanno sempre fatto il possibile per evaderle. Per permettere all’economia di decollare, queste Imposte dovrebbero essere prima pagate e poi dedotte dall’Imponibile Irpef (il meccanismo è chiamato “Conflitto delle Competenze”) e il problema sarebbe risolto.
Tutte le nazioni che, in dimensioni organizzative diverse, hanno applicato questo meccanismo, hanno superato crisi economiche e sono progredite economicamente.
Nel nostro paese esso è stato ostracizzato da tutti i partiti della sinistra e, indirettamente, da quelli della destra e dai sindacati e una informazione manipolata ha fatto “sbiadire” nella testa dei contribuenti, questo concetto, facendo credere che, sostituendolo con quello del “controllo” dello scontrino fiscale da parte della Guardia di Finanza, anche quello rilasciato dal salumiere per un etto di mortadella, (il fucile puntato alla schiena del consumatore), sarebbe stato risolto il problema. I risultati sono quelli che tutti conoscono.
Oggi, almeno quarant’anni dopo quella trasmissione, “Il Messaggero” , nella pagina “Economia e Finanza”, intitola: “Fisco; l’Italia prima tra le grandi nazioni UE per l’evasione dell’IVA” e conferma la situazione denunciata da Piero Angela e mai smentita dai fatti e ci indica dove bisognerebbe intervenire.
Bene; finché gli arabi non inventeranno una nuova forma di matematica, 2 + 2 darà sempre 4 e questo ci porta a chiederci “Renzi che cavolo ci sta raccontando?”
Le riforme messe in atto sono solo quelle istituzionali che non portano denaro nei conti pubblici; il PIL è un prefisso telefonico bassissimo, (0,2%), e non è nemmeno veritiero perché si suppone manipolato in eccesso perché l’occupazione scende, non sale; il fisco non è stato riformato e dubitiamo molto che lo sarà (perché, così, fa troppo comodo ai poteri superiori, a quelli occulti e alle lobbies); da quando stavamo alle soglie della catastrofe, come abbiamo fatto, in pochi mesi, a mettere le basi per investimenti di qua e di la, assunzione di un esercito di insegnanti e per l’eliminazione delle tasse sulla prima casa?
Qui c’è qualcosa che non funziona ma non nella matematica, bensì in Renzi.