Giulio Cavalli, un attore di teatro sotto scorta
Roma, 8 ottobre – Il libro “Nomi, cognomi e infami” di Giulio Cavalli (del 2010-Edizioni Ambiente) pubblicato nuovamente da “Il Sole 24 Ore” ad agosto scorso e venduto anche nelle edicole di giornali, è il diario di un anno di storie raccontate da un attore di teatro che vive sotto scorta da due anni; scrittore e autore teatrale, è noto per il suo impegno con spettacoli e monologhi teatrali di denuncia alla criminalità organizzata. Collabora con varie testate giornalistiche.
Un percorso che va dall’attentato di via D’Amelio all’uccisione del Magistrato Bruno Caccia (da pag.58), dal giornalista antimafia Pippo Fava (da pag.120) all’omicidio di don Peppe Diana (da pag.86) incrociando il coraggio di Peppino Impastato (da pag. 32), Rosario Crocetta (da pag.27) e i ragazzi di Addiopizzo (da pag.47), fino a raccontare della mafia al Nord (da pag.103). Un libro dedicato anche alle 670 persone che nel nostro Paese sono sotto tutela. La Prefazione è di Gian Carlo Caselli “…In Italia, per certi ambienti politico-culturali il vero peccato non è la mafia, ma raccontarla. Coloro che fanno affari con la mafia amano il silenzio e molti osservatori lo praticano normalmente con un’attitudine a piegare la schiena che è piuttosto diffusa. Giulio Cavalli è decisamente in controtendenza (per questo deve vivere scortato)…”
Il libro costituisce un iter tra vicende di uomini semplici dedicati alla propria attività assurti sull’altare dell’eroismo più puro per il malcostume silente e interessato, per non dire fognante, che ci circonda.
Racconta Cavalli:” Il canovaccio di “Nomi, cognomi e infami” è quello che ci succede intorno: le città che cambiano forma per dare forma ai soldi che vanno riciclati, gli episodi di mafia che non vengono riconosciuti come tali e che basterebbe mettere in fila e soprattutto i nomi e i cognomi e questa abitudine persa di indicare i colpevoli per esporli ad un giudizio pubblico.
Picciotto, o se preferisci, visto che hai imparato a pettinarti e vestirti pulito, caro estorsore, o, se preferisci, caro esattore. E poi caro al tuo capo ufficio, quello che sta seduto a contare i soldi quando alla sera raccoglie le mesate del mandamento, quei soldi che vi auguro che vi marciscano in mano. E poi cari a tutti i falliti, perché è da falliti mangiare sulla metastasi della paura degli altri, oppure, per capirsi meglio, cari a tutti gli uomini d’onore, così ci capiamo meglio, così vi prendiamo dentro tutti entrando subito in tema….”
Ora, più che su storie di martiri antimafia purtroppo ben noti, desidero soffermarmi su quanto Cavalli scrive sul Magistrato Bruno Caccia….un esempio per tutti i Giudici della Repubblica per rigore morale e serietà, per alto senso dello Stato, per sublime dedizione al lavoro. Inutile dire che di Magistrati di questa tempra c’è oggi enorme bisogno in Italia perché si ponga fine allo scempio della Legge e alle frequenti “interpretazioni evolutive ” della Legge penale stessa tanto cara a moltissimi “morbidi” Magistrati.
Bruno Caccia nel 1964 a Torino ricopre la carica di Sostituto Procuratore per passare a Procuratore Capo ad Aosta. Nominato nel 1980 Procuratore Capo della Repubblica a Torino, avvia indagini sulle B.R. e sui traffici della ‘Ndrangheta in Piemonte. Il lavoro di Caccia a Torino fa vacillare le basi del dominio ‘ndranghetista tra Torino e provincia. Il 26 giugno 1983 il Magistrato si reca fuori città e torna a Torino in serata. Essendo una domenica decide di lasciare a riposo la propria scorta. Verso le 23,30 mentre porta a passeggio il cane, viene affiancato da un’auto con due uomini a bordo che gli sparano contro uccidendolo. Caccia è quindi una vittima delle mafie del profondo Nord dei primi anni ’80.
In quegli anni sfogliando i giornali e riascoltando le voci di quel tempo, la mafia era un’ipotesi investigativa sovversiva che raccoglieva poco credito nella mentalità dei più. Eppure, nel 1983, in Piemonte un Magistrato dallo sguardo severo e con il vizio antico della serietà la indagava e la combatteva con le armi della Giustizia.
I Giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano hanno scritto nella sentenza di condanna degli uomini del boss Mimmo Belfiore come mandanti del suo omicidio:” Egli potè apparire ai suoi assassini eccessivamente intransigente soltanto a causa della benevola disposizione che il clan dei Calabresi riconosceva a torto o a ragione in altri Giudici….perchè questo clan aveva ottenuto in quegli anni la confidenza, la disponibilità o addirittura l’ amicizia di alcuni Giudici…” Umile e forte di propositi, pochi mesi prima di morire rifiutò la carica di Procuratore Generale della Repubblica di Torino … per non dispiacere ad un altro aspirante … ma anche per restare vicino ai suoi Sostituti…. Quindi, una storia da raccontare e pubblicizzare al massimo per memoria e insegnamento….
La vita di un Eroe della Giustizia con la “G” maiuscola.
Trattando di un Magistrato della tempra di Bruno Caccia, oltre agli Eroi della Patria quali Falcone e Borsellino ed altri ancora, ho voluto rendere omaggio con alcuni articoli di questa testata a Giudici della Procura romana dove negli anni ’70-’80 c’erano Magistrati dello spessore di Raffaele Vessichelli, Mario Bruno, Giorgio Santacroce, Luigi Ciampoli, Niccolò Amato, Mario Cannata, Domenico Sica, Ilario Martella, Claudio Vitalone, Margherita Gerunda, Luigi Jerace, Vittorio Occorsio e Mario Amato (entrambi uccisi dal terrorismo) sino ad arrivare a Paolino Dell’Anno (Paolino Dell’Anno, ricordo di un grande pubblico ministero nella Roma degli “anni di piombo” del 24 Marzo 2013).
La Politica si risente spesso per le doverose e giuste analisi dei Magistrati, che ricordiamolo oggi rappresentano l’unico controllo di legalità, ma cosa fa, la Politica, per garantire la supremazia della Legge e la difesa del cittadino?
Certamente ben poco!