Roma, 12 febbraio – Dopo il topolino partorito a capodanno dal sindaco Marino e dal comandante della Polizia Locale Roma Capitale Clemente, si è passati alle indagini a tappeto addirittura su facebook e sui medici (non si era mai verificato prima che i lavoratori venissero inquisiti in tal modo ma questa è la conseguenza della vera forza politica).
La vicenda romana, ha avuto vasta risonanza sui mass media nazionali, anche per i termini diffamatori con i quali sono stati definiti gli operatori romani e l’intera categoria dei Vigili Urbani, tanto che molti operatori di Polizia Locale, hanno presentato querela in tal senso.
L’episodio, però, ha risvegliato la necessità e l’urgenza dell’applicazione della normativa del 1986, istitutiva della Polizia Locale, di fatto solo parzialmente attuata tanto che con voce unanime, gli operatori di Polizia Locale degli 8000 Comuni italiani, saranno oggi a Roma per manifestare chiedendo la riforma ed il riconoscimento dei loro sacrosanti diritti.
Primo fra tutti, la reale definizione del loro stato giuridico (ora inquadrato nelle funzioni dei dipendenti amministrativi), delle cause di servizio ed equo indennizzo delle malattie professionali in quanto il poliziotto locale se si infortuna nello svolgimento dell’attività professionale o subisce violenza fisica riportando lesioni anche permanenti, non si vede riconosciuta tale dipendenza.
Certamente non era questo l’obiettivo dell’attivo Sindaco della Capitale che, in maniera antisindacale, ha applicato dal 1° gennaio, un contratto unilaterale penalizzando i suoi operatori di Polizia, applicando la legge anticorruzione esclusivamente nei loro confronti quando, invece, vengono arrestati in numero certamente maggiore, funzionari addetti a mansioni amministrative.
Marino e Clemente hanno acceso il fuoco. Ora però, l’acqua è bollente e la patata è passata di mano al Governo…