Roma, 11 giugno – Dall’introduzione di Angelo Del Boca al recentissimo bel libro di Simone Belladonna: “GAS IN ETIOPIA-I crimini rimossi dell’Italia coloniale” (Neri Pozza editore, marzo 2015, pagine 290, euro 19), apprendiamo che “La guerra d’Etiopia non è stata soltanto la più grande campagna coloniale della Storia contemporanea, ma anche, probabilmente, la miccia che ha fatto scoppiare la seconda guerra mondiale. Quest’anno ricorrono gli ottant’anni dall’inizio della campagna d’Abissinia, che portò alla fondazione dell’effimero impero africano di Mussolini…. Mussolini cominciò a prepararla sin dal 1925 e volle che fosse una guerra rapida, micidiale, assolutamente distruttiva”. Belladonna ci fa sapere che Del Boca ha esplorato, per primo, gli archivi americani del FRUS, dove sono raccolti i dispacci degli alti funzionari degli Stati Uniti sulla preparazione della campagna fascista contro l’Etiopia. Poiché il libro costituisce, in primis, la denuncia dell’impiego dei gas velenosi e mortali e di tutti gli inganni perpetrati negli anni per nascondere quei crimini(pag.10), l’autore non ha trascurato dati accurati che offrissero un quadro completo dei diversi gas utilizzati, dei sistemi per utilizzarli, dei risultati ottenuti. Si tratta di migliaia di tonnellate di iprite e di fosgene scaricate soprattutto dagli aeroplani sui combattenti etiopici e sulle popolazioni indifese (pag.95). I crimini del fascismo vennero, come è noto, cancellati dalla propaganda del regime, rimossi dai documenti e dai moltissimi libri pubblicati dai massimi protagonisti della guerra, come Badoglio, Graziani, Lessona, De Bono, dai gerarchi, dai giornalisti e da semplici gregari come anche nel dopoguerra e nei decenni a seguire, mentre ogni tentativo di ristabilire la verità veniva prontamente ostacolato. Perché l’Italia venga a conoscere la verità su quei tremendi crimini bisognerà attendere il 1996, quando il Ministro della Difesa, Generale Domenico Corcione (Governo tecnico Dini), farà alcune parziali ammissioni. Inutilmente, nel tempo, il governo imperiale etiopico ha cercato di trascinare Badoglio, Graziani e altre centinaia di criminali di guerra sul banco degli imputati. “Tanto Londra che Washington hanno esercitato sull’imperatore Hailé Selassié ogni sorta di pressioni per dissuaderlo dall’istituire, come era giusto e legittimo, una Norimberga africana”. Nota la “querelle” tra Del Boca e il grande giornalista Indro Montanelli. Forte della sua diretta esperienza di combattente nel conflitto coloniale del 1935-36, Montanelli si attestò tenacemente su una linea che si può definire negazionista, ma alla fine, dopo che il governo Dini, nel 1995-96, chiarì definitivamente modalità e dimensioni del ricorso agli aggressivi chimici, dovette chiedere scusa, non senza espressioni di acrimonia postuma verso chi mandò allo sbaraglio le truppe italiane, ignare (ma fino a che punto?) di quanto stava avvenendo: “Se dagli archivi – scrisse Montanelli – risultasse che noi fummo buttati alla controffensiva senza nemmeno avvertirci che avanzavamo in un inferno d’iprite, non mi limiterei a chiedere scusa a Del Boca. Reclamerei un processo alla memoria dei nostri comandanti con finale condanna al rogo senza effige”. C’è da rimanere sconcertati a leggere le cifre complessive dei venefici ordigni sganciati sul popolo etiopico: sul fronte nord, 1020 bombe da 500 chili caricate a iprite, su quello sud (somalo), 95 bombe a iprite e 271 a fosgene. La guerra d’Etiopia è stata una delle più grandi campagne coloniali della storia (da pag.73). Fu la prima guerra internazionale di un regime fascista che per la prima volta ha utilizzato su larghissima scala l’arma chimica per annientare l’avversario (da pag.84). Circa 500mila gli italiani mobilitati per invadere l’unico paese africano facente parte della Società delle Nazioni: una guerra che durò dal 3 ottobre 1935 al 9 maggio 1936 e che si concluse con la proclamazione di un impero (da pag.34). Angelo Del Boca fu il primo a rompere il silenzio nel 1965 con il suo volume “Guerra d’Abissinia 1935-1941″(da pag 141). Ciò che lo rese un libro di rottura e che accese le polemiche dei settori più nostalgici fu il primo accenno esplicito all’uso degli aggressivi chimici in modo non episodico contro un popolo che non li possedeva. Da segnalare, in conclusione, il Capitolo V, “Il mito degli Italiani brava gente” (da pag.191 a 259), in cui è scritto che la guerra d’Etiopia non è stata soltanto la più grande campagna coloniale della storia contemporanea, ma anche, probabilmente, la miccia che ha fatto scoppiare la seconda guerra mondiale. Poiché il libro costituisce, in primis, la denuncia dei gas velenosi e mortali e di tutti gli inganni perpetrati negli anni per nascondere quei crimini. Una delle eredità è il mito degli Italiani brava gente”, la cui genesi è da rintracciare nei postumi del secondo conflitto mondiale, ma i cui tratti salienti, ritiene l’autore del libro, risalgano proprio alla guerra d’Abissinia. E’ stata la memorialistica del conflitto africano, infatti, a sviluppare per prima la rappresentazione dell’ “Italiano buono” per natura, che si è poi via via sedimentata fino ad ammantare dello stesso mito anche l’operato dei Soldati italiani nelle missioni all’estero degli anni Novanta e Duemila.