I signori del gioco d’azzardo con importanti complicità…
I signori del gioco d’azzardo con importanti complicità…
Due anni fa, con l’articolo: “Lotta al gioco d’azzardo a seguito del grande allarme sociale. Si, ma con quali armi?“, del 18 settembre 2012, scrivemmo che l’Italia è il primo paese al mondo per spesa pro-capite dedicata al gioco. Secondo alcune ricerche il 2.2% della popolazione adulta italiana risultava a rischio per il gioco d’azzardo se non addirittura “vittima” di una patologia. Lotterie, slot machine, poker, scommesse e giochi di diversa natura avevano inondato il mercato a ritmi sempre più frenetici.
Ci chiedemmo anche chi c’ era in realtà dietro quelle società sotto i riflettori dell’antimafia e perché i Monopoli avevano accolto aziende con proprietà equivoche e non chiare, a cui di fatto veniva affidato il ruolo di esattore fiscale? Il primo caso citato, quello di Renato Grasso, risultato legato ai clan camorristici Vollaro, Grimaldi e ai Casalesi, che grazie alle intimidazioni aveva ottenuto in certe zone l’esclusiva nel noleggio dei videopoker illegali e leciti, nonché nella raccolta delle scommesse legali e clandestine. Un’ altra vicenda preoccupante, secondo la DIA di Milano, era quella del clan ‘ndranghetista Lampada-Valle che, partito da una pizzeria a Reggio Calabria, era poi approdato a Milano dove si era imposto nel mercato del gioco elettronico imponendo apparecchi non collegati e truccati ed addirittura ottenendo una licenza come concessionari dello Stato. E che dire della “Atlantis”, che controllava il 30 per cento del mercato dello slot machine, al centro di dubbi e polemiche, il cui amministratore era Francesco Corallo, figlio di Gaetano, già condannato per vari reati e noto per la sua vicinanza alla mafia e in particolare a Nitto Santapaola? A rappresentare l’Atlantis in Italia, con sede a Roma, con la qualifica di “preposto”, figurava il trentunenne catanese Alessandro La Monica e, prima di diventare Parlamentare del Pdl in quota An, il rappresentante legale era Amedeo Laboccetta.
Bene, proprio su Francesco Corallo e su questo grande settore di illegalità nazionale, che è uno dei tanti, ci aggiorna “L’Espresso” di questa settimana, con un interessante articolo di Paolo Biondani:”Che affari per Mister Slot”, che con le sue attività “ha guadagnato 400 milioni.. poi l’Antimafia lo ha fermato. Ora due sentenze lo rimettono in pista…”
Quindi, quanto hanno guadagnato esattamente le società controllate da Francesco Corallo? “Sommando gli utili netti dichiarati nei bilanci, solo tra il 2005 e il 2011 si totalizza la ragguardevole cifra di 356 milioni di euro. Tra il 2012 e il 2013, con il boom delle video scommesse di nuova generazione, il margine lordo sale di altri 200 milioni…” …..Corallo si difende e giura di non avere rapporti con il padre da decenni; e poi di aver sostituito le offshore con un trust di diritto inglese. “Il problema è che la società resta anonima, come sostenne l’allora Prefetto di Roma, che alla luce dei rapporti tra Corallo padre e Santapaola firma un’interdittiva antimafia che porta al commissariamento del gruppo. Corallo junior, a quel punto, cita per danni il Prefetto (mezzo miliardo) e fa ricorso al TAR, che fissa il verdetto per il prossimo 8 ottobre. Una settimana dopo la Corte dei Conti centrale pronuncerà un secondo verdetto definitivo, importante anche per lo Stato: il gruppo Corallo, accusato di aver staccato le sue macchinette dalla rete di controllo fiscale, è stato condannato in primo grado a risarcire oltre 840 milioni di euro….In attesa delle due sentenze di ottobre, però, Corallo ha aperto un processo tris… ha convinto il Consiglio di Stato che la legge con i requisiti antimafia del 2010 sarebbe incostituzionale, obbligando così i nuovi vertici del fisco a tentare un ricorso straordinario in Cassazione……” Da qui si evince che non c’è volontà politica per infrenare questi scempi della legalità con leggi certe e incisive; necessita certamente una nuova, urgente, più forte strategia per un attento controllo di tutta la filiera del gioco. Concludiamo, per evidenziare che della repressione dei reati poco ci si preoccupi in Italia, ammesso ve ne sia bisogno, è quel che ha scritto nei giorni scorsi il Giudice delle Indagini Preliminari (GIP) di Udine, Francesco Florit, che ha firmato inizialmente l’ordinanza di cattura per la “banda del cronometro”, tutti ladro-rapinatori moldavi di etnia romena, finita in cella al completo con prove schiaccianti: “Volete sapere perché questi criminali si fanno migliaia di chilometri e vengono proprio nel nostro Paese a compiere ruberie e altri reati?..Perché questi signori sono convinti che qui da noi, se mai ti beccano, fai un patteggiamento e ti rimettono in libertà”. I delinquenti sanno che in Italia “..la giustizia non è efficiente e il sistema è tale che, dopo poco, si è rimessi in libertà e si può ricominciare come prima. Rispetto a tali condotte, di cui ormai si legge nella cronaca con frequenza allarmante, è necessario adottare la giusta severità, trattandosi di comportamenti gravi e irrispettosi dei diritti altrui”. Parola di GIP! Ai lettori, come di consueto, l’invito per le più opportune riflessioni sul gran tema dell’ illegalità nostrana…….