Diceva con voce profetica, inimmaginabile a suo tempo, Gaetano Salvemini: “Quando il comunismo internazionale entrerà in crisi il comunismo italiano diventerà qualcosa di indefinibile e incomprensibile”.
Il che si è puntualmente verificato.
La grandezza di Salvemini non sta tanto nel fatto di aver previsto la fine del comunismo, in specie di quello italiano (cosa in sé abbastanza prefigurabile per i veri storici, come Salvemini, che sanno che tutti i movimenti ideologici non connessi alla realtà dei rapporti sociali hanno vita temporale limitata), ma di averlo legato a sorti esterne: il comunismo internazionale.
Segno che Salvemini aveva compreso sia la vacuità di fondo, culturale e ideale del comunismo sia la pochezza intellettuale e morale dei gruppi dirigenti, pronti a passare dalle bislaccherie sociopopulistiche violente dell’anarchismo alla greppia della nomenclatura sovietica e ad appollaiarsi sulla propaganda e sulle parole d’ordine leniniste, fornite dagli apparati dell’Internazionale.
Tant’è che, non appena il comunismo internazionale, ovvero sovietico, crollò (1989), il comunismo italiano praticamente si dissolse nell’ignavia stupefatta dei singoli comunisti e una classe politica rimasta appesa al nulla, si ritrovò con tale Occhetto che, non sapendo che fare, dove andare, cosa proporre, scodellò l’unico oggetto senza senso disponibile sul mercato delle non-idee: La Cosa (si ricorda?).
Come dire: speriamo che, tra ciarle e beccate, qualcosa esca infine dal vuoto pauroso delle nostre idee.
Da allora è stato un continuum di lunghe, apostasie, distinguo da parte degli ex-comunisti, sempre più alla ricerca forsennata d’una via per occultare il proprio passato e di un riciclo politico. E s’affrettarono a togliere gli emblemi del comunismo dalle bandiere, tentando di ridisegnarsi in un’altra Cosa per dimenticare e farsi dimenticare. Tant’è che oggi si autoappellano democratici (altro schermo ipocrita, pieno di vuoto).
E’ stupefacente, ma a tuttoggi non hanno compreso nulla del loro errore.
Non hanno condotto alcuna analisi sui fattori del loro abisso politico.
E non hanno capito perché il colto Gramsci sia tuttora oggetto di vaglio da parte di storici seri, mentre loro, capataz che si baloccavano con parole d’ordine prestate, sono rimasti una massa informe capace di masticare solo parole d’altri (simili ai rimasugli d’integralisti: insipienti e/o violenti scossi da delirium tremens mentale ripetitivo).
In nuce non hanno capito che la loro voragine culturale e morale è stata il ’68 (botola dell’abisso). Il ’68, cui essi per stoltezza politica e ideale hanno dato il massimo apporto (imitando la Chiesa e il clero per lucrarne un exploit d’egemonia), li ha spenti, ignorantizzandoli e consegnandoli alla stessa incultura che avevano coltivato nell’illusione di fare il pieno di consensi.
Con tali mire, in combutta con la Chiesa e torbidi Poteri, hanno portato al fallimento la Scuola (Università inclusa), infilando la politica del pollaio (Genitori e Studenti) nella gestione degli Studi e delle Aule. Da stolti miravano a trarre forza dal chiasso e dall’ignoranza e invece la morte culturale e del merito è stata la loro fossa: hanno scavato la tomba per la società e rinforzato la Chiesa!
Hanno distrutto la Scuola (il peggior crimine possibile) ideando di fabbricare un novello tipo di operaio asino (simil collettivi, centri sociali) da scagliare a fini di Potere contro la società borghese; e hanno invece solo rigenerato la peggio gioventù e il peggior anarco-egoismo: il brigatismo terrorista, l’illegalità, la droga, l’odio sociale, il Leghismo.
Hanno ucciso ridendo la Scuola di Gentile senza capire il valore unico di quella Scuola: che poteva salvare di loro non la politica ma, almeno, la dignità.
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