Italia, Brasile e Messico, sul tema sicurezza
Interessante articolo sul settimanale “L’Espresso“(n° 37 del 18 settembre) di questa settimana dal titolo: “San Paolo folle e disperata”, di Gianni Perrelli :””….Una città senza limiti. Che oltrepassa l’orizzonte verso tutti i punti cardinali……Traboccante di energia e di calore umano…..Il viaggio spazia dall’opulenza della roccaforte della finanza e degli affari, che si articola intorno al serpentone dell’Avenida Paulista, alle miserie delle favelas più degradate in mano ai signori della droga…Una città con oltre 400 rapine al giorno. Trenta sequestri al mese. E una malavita organizzata che ormai si propone come un vero contro-Stato… Più ancora che a Rio gli alveari disperati di San paolo sono vessati dalla mafia del narcotraffico. E al contrario di Rio, dove due o tre gang si contendono il territorio, a San Paolo la città è dominata da una centrale unica….di cui è capo indiscusso Marcola….di 46 anni, che ha trascorso oltre della metà della sua vita nelle celle di massima sicurezza e deve scontare più ergastoli…..La più grande megalopoli del Brasile fa i conti con il suo sviluppo sbagliato….”” C’è da dire che il Brasile, che fino all’inizio del nuovo secolo era simbolo di enormi squilibri, ora è uno Stato molto problematico che, comunque, con gran fatica, è giunto all’appuntamento del Mondiale di calcio 2014 di quest’estate, che doveva costituire la sua apoteosi. Da quel che si è letto sulla stampa, ci sono stati eclatanti fatti di corruzione (del tipo di quelli che si stanno verificando in Italia per EXPO 2015), disagio sociale, forti ritardi nella costruzione di stadi e impianti sportivi, trasferimento forzoso di gran numero di famiglie da zone degradate prossime alle strutture dei mondiali con dominio militare dei quartieri dove impera il narcotraffico, importante inflazione al 12%. Così, le vistose carenze dell’importante Stato sudamericano con oltre 200 milioni di abitanti si sono evidenziate mettendo a rischio la manifestazione sportiva più importante. Fin qui il Brasile, ma restando in America Latina, cosa succede in Messico? Come vedremo, le cose vanno diversamente.
Secondo quel che autorevolmente scrive Antonio L. Mazzitelli, in un interessante articolo su “LIMES” di novembre 2013, la guerra ai cartelli dei narcos con risposta delle istituzioni alla nuova sfida lanciata dalle organizzazioni è iniziata ben quattordici anni fa, nel 2000, dal Presidente Vicente Fox (2000-06), con un primo tentativo di riordino delle Forze di Polizia federali (con cospicuo aumento di fondi) e una prima mobilitazione di Esercito e Marina per attività di controllo del territorio in otto città del Nord. Dal contrasto militare, l’enfasi si è quindi spostata sulla prevenzione. Il deteriorarsi della situazione ha però costretto il successore di Fox, Felipe Calderon Hinijosa (2006-2012), a fare della guerra ai narcos la massima priorità del suo governo. La scarsa conoscenza della situazione sul terreno, l’infiltrazione dei gruppi criminali nei corpi di Polizia, soprattutto municipali, sono sfociati in una radicale riforma della sicurezza pubblica, con l’imposizione di una forte lotta al riciclaggio e contestuale riforma della Giustizia. La nuova amministrazione del Presidente Enrique Pena Nieto ha ulteriormente migliorato la situazione puntando su un’azione preventiva, che mira ad attenuare se non a rimuovere le cause economiche e sociali della criminalità. Fulcro della nuova strategia è un potenziato Ministero dell’Interno cui sono demandati sia il coordinamento delle Forze di Sicurezza sia la concezione e valutazione dei piani di intervento. Parallelamente, l’amministrazione e il Parlamento federale stanno lavorando a leggi ancora più incisive contro la corruzione e il rafforzamento delle indagini patrimoniali. Dal punto di vista internazionale, il Messico ha riaffermato il suo impegno nella lotta al crimine e al traffico di droga in varie sedi: Nazioni Unite, Organizzazione degli Stati Americani, G20.
Il quadro di situazione dei due Stati, come scritto, ci fa riflettere molto e affermare, senza se e senza ma, che l’Italia si avvicina molto al Brasile. A conferma di ciò, ai primi di agosto di quest’anno, la Direzione Investigativa Antimafia (DIA), nella relazione al Parlamento, ha rilevato che ci sono, nelle maggiori mafie italiane, “segnali che sembrano propendere verso derive di scontro ancora da decifrare….I clan della camorra si rigenerano e trovano nuovi adepti…mentre… in Calabria è grave il rischio di infiltrazione negli enti locali… La strategia silente che ha caratterizzato gli ultimi anni di Cosa Nostra sembra finita. Bisogna dunque prepararsi a contrastare possibile derive di scontro…La mafia (siciliana) trasforma gli assetti e appare protesa a recuperare il proprio predominio sul territorio… La forza delle principali organizzazioni è costituita (a fattor comune) dalla grande disponibilità di capitali, che consente una profonda penetrazione del sistema economico anche grazie a una diffusa e facilmente conseguibile collusione di figure pubbliche, inclini alla corruttela…. L’ attività estorsiva e usura, l’inserimento negli appalti pubblici e il narcotraffico continuano a rappresentare le maggiori fonti di guadagno dei clan, unitamente alla commercializzazione di prodotti contraffatti”.
Quindi, la conclusione è che se ci sarà da parte della Politica la forza e la volontà di adottare un modello di sicurezza incisivo come quello messicano, anche se in verità nulla abbiamo da imparare da chicchessia, l’Italia e gli Italiani si potranno salvare da un futuro molto ma molto pericoloso…..Altrimenti…..la via brasiliana è vicina….!!