Innanzi tutto va detto che non sono contemplati nel pacchetto i reati di falso in bilancio, depenalizzato nel 2002, di “auto-riciclaggio”( cioè riciclare in proprio il denaro provento di reato, anziché affidarsi a terzi), invocato inutilmente dalla Ue, dalla Banca d’Italia e dal Procuratore Nazionale Antimafia, di “voto di scambio” non più con denaro ( la Legge sanziona solo questa fattispecie) ma con appalti e assunzioni, ville e vacanze, come anche la sanzione dell’interdizione automatica dai pubblici uffici per i politici concussori, che viene tolta dal quadro normativo.
Il reato di cui all’articolo 317 del Codice Penale (commesso solo da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) viene scisso in due ipotesi; per la “concussione per costrizione”, ipotesi non frequente perché è difficile che qualcuno si faccia corrompere con il coltello alla gola, le pene restano immutate a 12 anni nel massimo e aumentano da 3 a 4 anni nel minimo; per la seconda, la “indebita induzione”, che riguarda chi ottiene “utilità” abusando della propria posizione di pubblico ufficiale, le pene calano, chissà perché, da 12 a 8 anni.
Ciò, ovviamente, inciderà sulla prescrizione del reato, che scende, udite udite!, da 15 a 10 anni, avendo come conseguenza nefasta la cancellazione di molti processi ancora da celebrare.
Quali? Non perdiamo tempo con elencazioni, chi legge sa che i potenti vanno tutelati….e queste guarentigie sono per loro. Ora facciamo un piccolo quadro di situazione per verificare se il reato di corruzione possa continuare ad essere sottovalutato colpevolmente.
Sono trascorsi vent’anni da quando Tangentopoli (il cui volume di affari illeciti fu quantificato dai vari processi in 630 mila miliardi di lire, ritenuto però un decimo della tragica realtà) allarmò fortemente. Adesso, con i grandi scandali che hanno cadenza quasi quotidiana, vediamo che il malaffare è diventato regola, implementato e agevolato da leggi morbide come anche da condoni e scudi che hanno legalizzato l’evasione e il riciclaggio. Alla corruzione tipica, quella delle mazzette al burocrate o al politicante di bassa, media, ma anche alta caratura, si vanno ad aggiungere strategie più sofisticate, giungendo a un sistema definito, dai Magistrati inquirenti, “gelatinoso”, ma possiamo aggiungere anche sfuggente e avviluppante, in cui trovano posto imprenditori disinvolti che si interfacciano con pubblici funzionari corrotti, personalità della politica e anche gente di malavita organizzata.
Ma l’Italia è un Paese equo? Via, non facciamo ridere i polli!; da noi il cittadino conta quanto il due di coppe, e nulla merita se non di essere spremuto come un limone. Non tutti sanno che la metà di quello che guadagniamo, annualmente, costituisce ciò che lo Stato italiano preleva ai contribuenti (per bene) e che abbiamo il non invidiabile primato dell’esazione fiscale più alta in Europa; molti altri, ancora, non hanno contezza che la nostra pressione fiscale è superiore di oltre cinque punti percentuali rispetto a quella della Germania, e questo vuol dire che lo Stato italiano incamera più soldi di quello tedesco per fornire servizi senz’altro non migliori. Il prelievo fiscale del 2010 ammonta a 146.500.000.000 euro per 41.529.050 contribuenti, di cui 20.870.919 sono lavoratori dipendenti e 15.292.361 i pensionati. Quei 146 miliardi e mezzo di euro (ricavati da lavoratori dipendenti e pensionati, per un ammontare di 137.200.000.000 euro), è pari al 93 per cento, mentre gli altri contribuenti che versano appena il 7 per cento è costituito dal cosiddetto popolo dell’Iva, quanti cioè hanno una partita Iva che i lavoratori dipendenti non hanno. Pensare che l’evasione fiscale annua, in Italia, è calcolata in 130/160 miliardi di euro, quasi la stessa somma delle entrate dello Stato! Le procedure di transazione con i grandi evasori, poi, sono singolari, e questo nel caso in cui l’evasore risieda all’estero, corrispondendo contributi leggeri in quegli Stati. Viene elargito, così, quando scoperto l’illecito, appena il 20 per cento del dovuto all’Agenzia delle Entrate, e passa la paura. Perché non si fanno indagini approfondite, del resto anche agevoli, per stabilire se tale residenza sia fittizia o reale?
Altro aspetto che va fatto risaltare è che il dispositivo di verifica e repressione non funziona bene. L’Amministrazione finanziaria, infatti, non è in grado di controllare tutte le dichiarazioni dei redditi, ma solo il 10 per cento, mentre il restante 90 per cento la fa franca, anche in toto, se nei cinque anni a seguire nulla viene scoperto. I condoni, ancora, fatti per fare cassa, sono un’altra panacea per l’evasore, “facultato” per Legge a sfruttare una norma che si potrebbe definire criminogena in quanto induce il contribuente alla dichiarazione falsa. Il condono, che si calcola a percentuale su quanto dichiarato, consente a chi più ha evaso di essere premiato, perché minore è il reddito dichiarato e minori le somme da corrispondere. Ad arricchire tale vergognoso quadro, ben sette condoni dal 1973, uno ogni quattro anni; a questo si aggiunge anche la perla dello Scudo Fiscale attuato ben tre volte, con leggi del 2001, 2003 e 2009. Perché si chiama Scudo? Semplice, è una protezione contro il fisco a vantaggio dell’ evasore. Si condona, secondo la Legge, chi ha portato quattrini all’estero, sia lecitamente guadagnati, sia non. L’evasore, quindi, consegna all’intermediario i suoi soldi e riceve, in cambio, una dichiarazione riservata senza nome o altre informazioni utili alla sua identificazione, che viene comunicata al fisco al quale viene corrisposto appena il cinque per cento prelevato dal conto del cliente-evasore.
Quindi, possiamo affermare che lo Stato italiano nulla sa se sta riciclando alla grande soldi di un onesto, tra virgolette, evasore, ovvero i proventi di mafie varie endogene ed esogene, ecomafie o altre tipologie di tristi congreghe che proliferano in questa allegra, incosciente e mal governata Nazione. Infine, per agevolare gli intermediari ad essere affrancati da qualsiasi responsabilità od anche resipiscenza, la norma prescrive “ che le operazioni di rientro del capitale non costituiscano di per sé elemento sufficiente ai fini della valutazione dei profili di sospetto per la segnalazione antiriciclaggio”. Una soluzione però ci sarebbe a questo sfacelo, quale l’obbligo di indicare nella dichiarazione dei redditi qualsiasi rapporto bancario, non solo sui conti italiani, ma anche sui conti, valute, cassette di sicurezza, depositi, e titoli ovunque detenuti, anche alle Cayman o in Svizzera o altri paradisi fiscali, dove sappiamo che galleggiano ben 500 miliardi di euro che andrebbero subito tassati del 100 per cento; il tutto, ovviamente, normato con previsione di adeguate sanzioni penali. Non c’è tempo da perdere! La politica faccia la sua parte, ben sapendo che il debito pubblico (il maggiore nel mondo dopo USA e Giappone) costituisce il 120% del Pil. A parte retate spettacolari per scontrini a Cortina e Capri, si operi con fortissima determinazione nei confronti di mafie, evasori e corrotti, e questo perché il malaffare frena la crescita del Paese.
L’auspicio, concludendo, è che la Camera dei Deputati modifichi il decreto anticorruzione trasmessogli dal Senato, ma nel senso dovuto e atteso da tutti i cittadini di buona volontà, tenendo conto che l’Italiano è buono e tollerante per DNA, ma certamente è capace di indignarsi forte e di incazzarsi!