Le “torte in faccia”
Roma, 02 giugno 2017 – A seguito del “colpaccio” consumato ai danni di Berlusconi, Monti non voleva accettare l’incarico di governo ma la nomina a senatore a vita e il consenso di risanare, mediante l’IMU degli italiani al posto del bilancio dello stato, il MPS in fallimento, lo hanno convinto; quindi è stata la volta di Letta che non ha migliorato la situazione anzi, l’ha inasprita ancora di più ed ha aperto la strada all’astro nascente del suo stesso partito, Renzi. In questa dimensione, le maggioranze, nel quadro politico strutturalmente restavano le stesse, ma nella sostanza erano variate profondamente e si registravano le profonde differenze di colore e di ideologia e di voltagabbanismo.
La più eclatante e paradossale, Alfano, “scappato dalla nave che affondava”, tradendo elettori e patti precedenti, dava la propria disponibilità a Renzi e, dopo aver intessuto trame segrete con Napolitano, per la destituzione di Berlusconi, passava dall’opposizione al governo.
Scopo? Ufficialmente, portare il paese alle riforme, nella sostanza, per non naufragare con Berlusconi che aveva formato la forza di opposizione del centro destra e che stava in cattive acque. Il paese aveva bisogno di riforme profonde per superare la crisi che Monti aveva lasciato alla deriva e per mettersi alla pari degli altri paesi europei. Le riforme non sono state fatte o, meglio, sono state fatte quelle che non servivano perché, quelle più importanti e dalle quali doveva partire tutto, quelle economiche, sono state poste all’ultimo posto con la esplicita intenzione di non farle.
In questo grottesco bailamme Alfano non ha mai lesinato la propria fiducia al governo e a Renzi, che lo usava come stampella ma gli consentiva di vivere. In questa ibrida dimensione, che procedeva a forza di “fiducie”, mentre Renzi si gloriava di aver creato, con le riforme della diminuzione dei servizi, trecentomila posti di lavoro che non esistevano, lui gli faceva eco con l’elenco delle riforme costituzionali a cui avrebbe contribuito. Le situazioni che appartengono all’umane genti, non sono eterne per cui, mentre ferveva questo “balletto di fantasmi”, il fallimento del referendum costituzionale, male impostato e bisognoso di profonde correzioni, ha portato alle dimissioni formali del governo.
La palla è passata, formalmente a Gentiloni che è stato felicissimo di consegnare gli Esteri, ministero in cui aveva fatto più danni che risultati, ad Alfano che non ne poteva più degli Interni e dei migranti che non riusciva a fermare e a sistemare, e questi ha continuato ad essere la stampella ora, ufficialmente, di Gentiloni, ma, a tutti gli effetti di Renzi che, con la collaborazione di Napolitano, agiva da dietro le quinte. …beh, siamo concreti; una commedia del genere non poteva durare a lungo. I ruoli si sono scoperti e la necessità di cambiare una situazione che, da illegale, stava diventando anche fatiscente, si è evidenziata presto.
Non c’era altra soluzione; elezioni anticipate, ma occorreva la Legge elettorale perché, con il fallimento del referendum, era caduta anche quella che non era perfetta, ma che, con qualche correzione, poteva anche servire allo scopo. Quindi, corsa per una legge elettorale e qui si è creato l’altro fenomeno cui ha dato vita Alfano.
Berlusconi, tornato in lizza, dopo i noti proscioglimenti giudiziari, ha ritenuto opportuno orientare la politica del suo partito dal maggioritario al proporzionale con una variante, rispetto ad un sistema che avrebbe riportato l’Italia indietro di sessanta anni; uno sbarramento che avrebbe liberato le Camere di tutte le “pulci che volevano tossire”. La scelta è caduta sul sistema proporzionale alla tedesca; meccanismo particolare che avrebbe permesso a tutte le categorie sociali di essere rappresentate e con lo sbarramento al 5%. È stata la tegola che è caduta sulla testa di Alfano.
Il suo partito non arriva al 5% e, oltre a rendersi evidente la sua funzione di stampella del governo di Letta, di Renzi, ed ora di Gentiloni, ha dimostrato tutta la sua contrarietà. Innanzi tutto, si è dichiarato, alla Fini, contrario alle elezioni anticipate e, a quella maniera, al fine di scoraggiare opinione pubblica e strutture politiche dalla loro programmazione, le ha definite “disastrose”, per il paese; a meno che lui “non si identifichi” nel paese, questa valutazione sarebbe stata per lui, non per il paese e Renzi glielo ha dimostrato a chiare lettere.
“Sei mesi prima della scadenza naturale o alla scadenza naturale, non cambia assolutamente niente.” La diatriba non si è fermata qui ma ha invaso il campo personale, mascherandolo da politico. Per lui, Renzi faceva a gara a “distruggere i governi” per ritornare a posizioni di potere; e le risposte non si sono fatte aspettare, e hanno messo in risalto il ruolo effettivo avuto da Alfano. “Dopo aver gestito i ministeri con i risultati che conosciamo, e senza essere risuscito a superare la soglia del 5%”, ha sentenziato Renzi, “mica avrebbe preteso di fermare tutto”. È stata la fine o la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Un altro “…che fai mi cacci?…” è spuntato all’orizzonte e Alfano ha rotto i ponti con il PD e con Renzi accusandoli di non avere apprezzato la sua “disponibilità”.
Su tale “disponibilità” e “sugli scheletri nascosti nell’armadio”, ci sarebbe da scrivere un romanzo, anzi, un’enciclopedia. Ha tradito mandati degli elettori e partiti per “la poltrona”; ha cambiato colore come la tavolozza di un pittore pazzo pur di stare “imbullonato” a “quella” poltrona ed intessuto trame con Napolitano per portare Berlusconi alla destituzione e, all’esplicita sentenza di Renzi, ha perduto il controllo e la “commedia” si è trasformata in dramma. Dopo il tentennamento, Alfano ha dovuto dichiarare con durezza che non aveva paura dello sbarramento del 5%. Una frase di un lettore appare su “Il Giornale” e descrive la situazione “La smania di potere sia di Alfano che di Renzi è stato l’unico vero collante del sodalizio. E quando i matrimoni naufragano la verità viene a galla. Soprattutto se sono state unioni di convenienza. E basate sulla spartizione di poltrone”.
A questo punto i vari “…che fai, mi cacci?…” sono spuntati come funghi ed esplosi come bombe atomiche tra i contendenti. Alla sintesi di tutto questo sfacelo, una cosa sola è lecito chiedersi: se è possibile che l’avvocato non sia riuscito ad accorgersi di essere stato usato.
Se la situazione fosse comica, potremmo definirla, alla maniera di una antica canzone appartenente al repertorio classico napoletano, “scene comiche e battimani”, ma la situazione non è comica; è triste, è patetica, è squallida… è grottesca… e quando i poteri si combattono fra di loro per avere la supremazia, innanzitutto danno vita ad un quadro in cui denunziano chiaramente che “il potere logora chi non ce l’ha” (ogni riferimento è puramente casuale) e, poi, in faccia non arrivano mai le “torte”, che facevano fare un sacco di risate e che, per coloro che ne erano colpiti, erano anche buone, ma “stracci”, per cui tra lui e Renzi è finita “a pesci in faccia”.