Per il futuro sindaco di Roma, Romolo e Remo inducono a pensare

Roma, 16 marzo – Credevamo che, avendo anche noi in Italia una Samantha, per qualche tempo davvero lontana da molte delle miserie della Terra, alcune di esse potessimo dimenticarle.
Una Samantha ben diversa da quella, pur simpaticissima, che in Bewitched, sitcom statunitense tradotta con Vita da strega, si sollevava sì, ma su un manico di scopa.

Dunque non basta che ci sia un’astronauta italiana. Ancora si tirano giù le donne dall’albero della cuccagna. Ovvero dall’inerpicata per il quasi impossibile.

E non è servito avere donne presidenti della Camera, donne ministro, donne in divisa, donne in magistratura, donne ovunque.
Per il fatto che, nei mille mestieri, sono le donne che si adattano, si industriano, si sacrificano.

E sembrerebbe paradossale vestire oggi i panni anacronistici delle suffragette, dopo tanta acqua passata sotto i ponti, e…invece basta un niente per essere uniformate, tutte.
Le giovani e giovanissime, lontane da quanto fu il ’68, le meno giovani, che in quegli anni c’erano e si impegnarono, e quelle ancor meno giovani, che  possono ben ricordare quanto e come ci vollero, purtroppo, la Seconda Guerra Mondiale e la conclusione dei fatti bellici per la graziosa concessione in Italia del voto, appunto,
alle donne.

Eccoci, tutte insieme, a riflettere sull’andare e venire della candidatura dell’Onorevole Giorgia Meloni a primo cittadino della capitale. Riflessione indipendente dal colore politico.

E sconsolatamente assistiamo al chiedersi di uomini politici, evidentemente e purtroppo viziatissimi da donne, se  è opportuno che la Signora Meloni assuma impegni politici faticosi in un momento particolare della sua vita; ma non a domandarsi dove e in qual numero siano altri, in particolare uomini, da proporre e disposti ad accettare, incensurati e non già “discussi”.

Certo, la gravidanza può creare problemi.
Ma come mai non ci si chiede quanto tale circostanza sia compatibile con il cambiamento recente delle leggi, apparentemente di intento avanzato, che regolano lo spostamento dell’assenza dal lavoro negli ultimi due mesi di attesa, aggiungendoli ai primi tre, già previsti dopo la nascita? Così, con invariata spesa sociale, le donne possono riuscire a far fronte meglio alle necessità del bambino.
Sempre le donne devono aggiustare le cose,. senza che il contesto predisponga sufficienti strutture per l’infanzia.
E così l’indice di natalità italiano parla da solo.

Inoltre, come mai i primi tre mesi di gravidanza, statisticamente complessi, vengono considerati, invece, così poco preoccupanti tanto che le donne devono andare, salvo fatti dichiaratamente segnalati dal medico, a lavorare?
Perché i primi tre mesi sono un problema della madre e del bambino che, non essendo ancora nato e non potendo sopravvivere se ciò accadesse, viene interpretato come degno di minore assunzione di responsabilità sociale. Negli ultimi mesi la nascita, invece, è sempre più compatibile con la vita e crea, quindi, la condizione per lo Stato
a doversene far carico.
Gli ultimi due della gravidanza e i primi tre mesi dopo la nascita, quindi, in un certo senso, vengono equiparati.

Non è consentito licenziare una donna per tutta l’attesa del bambino.
Neppure discriminarla è lecito in un’assunzione. Almeno così ormai, dovrebbe essere.

Possiamo, invece, licenziare coralmente, data l’assenza di una situazione già definita, una donna in attesa che voglia divenire sindaco?

Ci saremmo potuti aspettare in un Paese, dove probabilmente tanti, dato lo stato dei fatti, si sentono almeno in pectore emuli di Ulisse, che si fosse rivolto un pensiero su come rendere qualche orario o qualche circostanza più agevole nella prospettiva eventuale ci fosse una signora in attesa nel ruolo di candidata a sindaco?

Naturalmente no. In un Paese, in una città, dove tutto è degradatamente neutro, ostacolante o comunque non sufficientemente orientato verso il sostegno della natalità.

Purtroppo, pur essendoci donne in alcuni ruoli decisionali, i mancati risultati, che ci rendono perdenti nel confronto con altri Stati, portano a rilevare che tali presenze, certamente non bastevoli in percentuale, dimostrano anche un insufficiente esercizio complessivo di responsabilità attiva, dove le carenze nazionali interferiscono sull’assunzione coraggiosa dei ruoli.

E non si parli di risorse, dato che, analogamente alle paradossali carenze italiane relative all’operato complessivo nei beni culturali, le risorse generano risorse e vanno guardate dove sono.

Non conta neppure la realtà di sovrane e presidentesse in altri Stati.

E neppure i secoli hanno aiutato Roma. La storia di Romolo e Remo, allattati da una benevola lupa e ben presenti fra le glorie capitoline, ha lasciato scarso monito, poca attenzione e assistenza pubblica all’infanzia e alle madri: alle quali, cavallerescamente, nell’agone, viene riservato, se va bene…un  baciamano.

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