Nella lunga e variegata storia della repubblica italiana, la sinistra ha quasi sempre vinto le elezioni amministrative, sebbene la maggioranza degli italiani viene generalmente catalogata come “moderata” e, quindi, riconducibile alle ideologie ed alle strategie del centro-destra.
Si potrebbe allora affermare che, anche in questa circostanza, non sia accaduto “nulla di nuovo sotto il sole”, se non l’allarmante e preoccupante fenomeno dell’astensionismo che, molto verosimilmente, avrebbe influito in misura determinante sul risultato finale. L’attenzione dei più attenti e qualificati osservatori e commentatori politici, si era concentrata su Roma-Capitale, sia per la consistenza numerica degli aventi diritto al voto, sia per le possibili ripercussioni sulla politica nazionale. Com’è già noto, nella “Città Eterna” ha vinto il candidato del centro-sinistra, Ignazio Marino, il quale ha sloggiato dal Campidoglio, l’inquilino del centro-destra, Gianni Alemanno. Il verdetto non ha meravigliato più di tanto perché era nell’aria ed è andato via via consolidandosi, assai prima dello sfoglio delle schede, con le notizie, fornite dai media e dal Viminale, sull’altissima percentuale degli astenuti. E’ chiaro che la prova regina su chi sia stato favorito e chi penalizzato da questo fenomeno, invero assai prevedibile, non la conosceremo mai perché manca quella verifica che nessuno è in grado di esibire. Tuttavia, l’opinione ricorrente e più accreditata si riassume nella concezione, secondo la quale, qualora l’astensionismo fosse stato più contenuto e limitato, oggi avremmo avuto un risultato diverso e forse anche contrapposto. Per onestà intellettuale e per amore della verità, va subito precisato e ribadito che il nostro è un paese civile e democratico, nel quale ciascuno è liberissimo di comportarsi come meglio crede, con la consapevolezza piena, che la legittimazione del responso delle urne non verrà mai posta in discussione a prescindere dal numero dei dissidenti, dei votanti, delle schede nulle o di quelle bianche. E’ stato chiaro fin dall’inizio della campagna elettorale, che si trattava di due candidature contrapposte alquanto deboli, prive di quel potere carismatico necessario per raccogliere e coagulare l’interesse e, soprattutto, il voto del proprio elettorato, oltre che spigolare nel campo del proprio avversario politico. Da una sommaria analisi di questa tornata di ballottaggi emerge il convincimento, secondo il quale, il candidato Marino ha, sì, vinto la sua battaglia, ma con meno della metà, della metà degli elettori capitolini, i quali, nella circostanza, sembra non abbiano scelto il migliore, bensì il meno peggio.