Nonostante il periodo vacanziero e il solleone che picchia, stamane 21 agosto una folta schiera di partecipanti ha presenziato alla cerimonia in ricordo dei 40 anni dallinvasione sovietica della Cecoslovacchia, avvenuta il 21 agosto 1968.
In piazza Jan Palach al villaggio Olimpico a Roma, il dottor Gino Ragno, organizzatore dellevento, ha aperto la cerimonia, di cui è organizzatore, ha ricordato i tragici eventi di cui lui, unico giornalista italiano, fu testimone, con un discorso carico di passione con cui invita allimpegno a continuare la battaglia di resistenza al comunismo oppressore a fianco di tutta lEuropa, particolarmente coi Paesi del centro-Europa, la Repubblica ceca, la Slovacchia, lUngheria.
Il sindaco Alemanno ha inviato una corona di fiori che è stata posta alla base del monumento a Jan Palach.
Ugualmente hanno posto corone i rappresentanti delle ambasciate di Ungheria, della Repubblica ceca, della Slovacchia, del II° e XX° Municipio di Roma.
Significativo il fatto che la cerimonia si sia svolta ai piedi del monumento a Jan Palach, studente di filosofia praghese che allepoca dei fatti aveva assistito con simpatia alla stagione riformista del suo paese, la Primavera di Praga.
Nel giro di pochi mesi, però, questa esperienza fu repressa militarmente dalle truppe dell’Unione Sovietica e degli altri Paesi che aderivano al Patto di Varsavia, a eccezione della Romania.
Per protestare contro quell’iniziativa bellica, Palach prima fondò un gruppo di volontari anti-URSS e successivamente decise di cospargersi il corpo di benzina in piazza San Venceslao a Praga, appiccando il fuoco con un accendino (16 gennaio1969). Morirà tre giorni dopo.
I suoi appunti e i suoi articoli (che rappresentavano i suoi pensieri politici), che tenne in uno zaino molto distante dalle fiamme, costituiscono il suo testamento.
Tra le dichiarazioni trovate nei suoi quaderni, spicca questa: Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana .
Non dimenticare è il monito, non per alimentare lodio, ma perché se ne tragga un valido insegnamento per guardare al futuro con occhio rivolto alla libertà.
Il sindaco Alemanno ha inviato una corona di fiori che è stata posta alla base del monumento a Jan Palach.
Ugualmente hanno posto corone i rappresentanti delle ambasciate di Ungheria, della Repubblica ceca, della Slovacchia, del II° e XX° Municipio di Roma.
Significativo il fatto che la cerimonia si sia svolta ai piedi del monumento a Jan Palach, studente di filosofia praghese che allepoca dei fatti aveva assistito con simpatia alla stagione riformista del suo paese, la Primavera di Praga.
Nel giro di pochi mesi, però, questa esperienza fu repressa militarmente dalle truppe dell’Unione Sovietica e degli altri Paesi che aderivano al Patto di Varsavia, a eccezione della Romania.
Per protestare contro quell’iniziativa bellica, Palach prima fondò un gruppo di volontari anti-URSS e successivamente decise di cospargersi il corpo di benzina in piazza San Venceslao a Praga, appiccando il fuoco con un accendino (16 gennaio1969). Morirà tre giorni dopo.
I suoi appunti e i suoi articoli (che rappresentavano i suoi pensieri politici), che tenne in uno zaino molto distante dalle fiamme, costituiscono il suo testamento.
Tra le dichiarazioni trovate nei suoi quaderni, spicca questa: Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana .
Non dimenticare è il monito, non per alimentare lodio, ma perché se ne tragga un valido insegnamento per guardare al futuro con occhio rivolto alla libertà.
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