L’altro ieri, i Carabinieri hanno arrestato due cinesi accusati di resistenza a pubblico ufficiale durante i tafferugli a Sesto Fiorentino. Si tratta del titolare dell’impresa controllata che avrebbe tentato di impedire l’ispezione e di un altro connazionale, che dopo i primi disordini nel capannone, avrebbe cercare di impedire l’uscita di mezzi e ambulanze bloccando il cancello e aprendo il portellone di una delle ambulanze. Proseguono intanto gli accertamenti anche da parte della Digos per ricostruire la dinamica dei disordini e le eventuali responsabilità dei singoli manifestanti (alcune centinaia). La situazione a Sesto Fiorentino è tornata alla normalità dopo le due della notte scorsa. I cinesi che hanno dato vita ad una rivolta a cui sono seguiti tafferugli sono stati dispersi dalla Polizia e altri si sono allontanati da soli nelle vie limitrofe a piazza Marconi. Dopo l’ultima carica sono rimasti contusi in modo lieve due Agenti di Polizia e un Carabiniere. La protesta era cominciata verso le 18 di mercoledì sera con i primi tafferugli tra Agenti e alcune decine di cinesi e ha poi assunto toni concitati con il passare delle ore….
A dicembre 2013, scrivemmo su Prato, la strage annunciata del lavoro sommerso cinese: sette morti in un incendio in fabbrica, che, per Prato, era la prima grande tragedia del lavoro cinese, dopo le sanguinose faide tra bande rivali e i corpi di lavoratori orientali morti per cause naturali abbandonati sulle strade. Ma è stata anche una tragedia annunciata dalle difficoltà di contrasto alla più grande realtà di lavoro sommerso d’Europa. Ci chiedemmo, a vent’anni, a Prato, dall’istituzione della nuova Provincia, era legittimo chiedersi, cosa era stato fatto? Sì, cosa aveva fatto, in primis, la politica locale, regionale e nazionale? Ricordammo che il dato non teneva conto dei cittadini originari di Hong Kong ma solo di quelli provenienti dalla Repubblica Popolare cinese. Le imprese cinesi erano così riuscite, anche grazie all’attività di compiacenti professionisti sia italiani che cinesi, a costituire, Prato in testa, veri e propri distretti produttivi in grado di influenzare la lecita concorrenza nel libero mercato. Il giro d’affari della cd. “industria del falso” era stimato fra il 2 ed il 7 % dell’intero commercio mondiale e, per quanto riguardava il nostro Paese, uno studio del CENSIS quantificava il peso della contraffazione, in termini di mancato gettito, in oltre 5 miliardi di euro, pari al 2,5% del totale delle entrate tributarie.
Quello che urgentemente occorre, indipendentemente da costosissimi e inutili studi sociologici e blaterazioni di politici incompetenti, è, lo ripetiamo sino alla noia, un pressante controllo del territorio, una presenza costante delle “divise di quartiere”, ben supportate da “Volanti” della Polizia e da “Gazzelle”dell’Arma, in buon numero, implementate da Militari delle FFAA, quale unico e vero fattore di deterrenza contro il crimine, per un rapido intervento all’emergenza, previo monitoraggio dei fenomeni per cogliere segnali importanti di disagio sociale sfociabili in gravi rivolte.
Una volta che le periferie esploderanno, com’è possibile, non basteranno certamente i Reparti Celere della Polizia né i Battaglioni dei Carabinieri in tenuta antisommossa a risolvere i problemi dell’integrazione e del controllo di legalità, e questo in virtù del motto latino che recita che “è meglio prevenire, che reprimere” …
Si segnala che sull’argomento cinesi in Italia, il 17 Agosto 2013, su questa testata “attualita.it”, abbiamo pubblicato altro articolo dal titolo: “La mafia cinese crea allarme da non sottovalutare“.