Con il “Mose”, l’Italia indietro di 20 ani
Il nuovo scandalo legato alla costruzione del tanto discusso “Mose” di Venezia, progettato per salvaguardare la splendida città lagunare dalle alte maree, ha riportato indietro le lancette dell’orologio della nostra storia, indietro di 20 anni.
Eravamo in piena “tangentopoli” e dalle Alpi alla Sicilia non si parlava d’altro che di arresti eccellenti, di processi storici, di suicidi e di tutto ciò che fa da cornice ad un perverso sistema di ruberie e corruttela.
Gli effetti furono cruenti e disastrosi soprattutto per la classe politica dirigente dell’epoca, con la dissoluzione e la cancellazione del “pentapartito” (DC, PSI, PSDI, PLI e PRI) che per oltre mezzo secolo aveva governato il Paese.
Chi visse quel periodo vergognoso per la nostra storia recente, ricorderà certamente che gli italiani vennero rassicurati sulla irripetibilità di quegli squallidi episodi che, oltretutto, offendono e mortificano la dignità delle persone oneste.
Invece, nell’anno di grazia 2014, non solo la mala erba non è stata estirpata, ma si è registrato una preoccupante riacutizzazione del fenomeno sia sotto l’aspetto quantitativo che qualitativo.
Penso che se non stessimo annaspando in una gravissima crisi economica, politica ed istituzionale, forse avremmo avvertito meno il disagio e non ci saremmo indignati fino al punto di perdere totalmente la fiducia e la speranza, convinti, come giustamente siamo, che “del doman non c’è certezza”.
Infatti con la disoccupazione al 13 %, il ridimensionamento della classe media, l’impossibilità per molte famiglie di arrivare alla fine del mese, con pensioni minime vergognose e chi più ne ha, più ne metta, è quanto mai difficile trangugiare l’amaro calice degli arricchimenti illeciti, dello sperpero del denaro pubblico per finalità private e persino per capricci immorali e voluttuari.
Siamo, per principio, i più garantisti esistenti sulla faccia della terra, ma, contestualmente, tra i più severi nei confronti di chi è stato indagato, processato e condannato per questi ed altri tipi di reato che gridano vendetta.
Da ingenui pensavamo che, con la chiusura delle inchieste su “tangentopoli”, sarebbe stata posta la parola fine su questo orrendo malcostume, ma, alla luce di quanto sta accadendo, nasce il sospetto che l’ultimo malaffare scoperto nella città più bella e più attraente d’Italia e del mondo, possa rappresentare la punta di un gigantesco “iceberg” che minaccia la nostra civile convivenza e pregiudica il futuro dei nostri figli.
Questa volta, al contrario di quanto ci è stato propinato negli anni 90, gli indagati o, se preferite, i presunti colpevoli, sono “bipartisan” e nessuno dei partiti o dei raggruppamenti di riferimento, potrà chiamarsi fuori.
E’ pur vero che si tratterà di una magra consolazione, ma se alla fine le accusa verranno provate, gli schizzi di fango non risparmieranno nessuno e tutti dovranno trarne le ovvie conclusioni.