Politica
Tenui segnali di disgelo tra PD e Forza Italia
In politica, come nella vita quotidiana di qualsiasi essere umano, “Mai dire Mai”, perché, in qualsiasi circostanza ed in ogni momento, può sempre accadere di tutto e di più.
Il “patto del Nazareno” è crollato sotto il fuoco incrociato dei franchi tiratori e, ironia della sorte, le parti interessate sembrano ora tutte felici e contente.
Tuttavia i problemi più importanti non sono stati risolti con l’elezione di Mattarella al Quirinale imposta dal Presidente del Consiglio in disaccordo con l’ex cavaliere, perché la situazione generale del Paese, nel suo complesso, non è sostanzialmente migliorata.
La sensazione che si recepisce negli ambienti cosiddetti “bene informati”, è che Renzi stia soppesando e valutando se ricompattare il suo partito, con la riaggregazione della frangia della sinistra più recalcitrante ed oltranzista, valga di più o di meno dell’intesa con Berlusconi, i cui voti sono stati qui determinanti, per l’approvazione delle riforme concordate e facenti parte integrante del programma del suo governo.
Non si esclude nemmeno l’ipotesi che Renzi abbia fatto “saltare il banco” non tanto e soltanto per l’elezione di Mattarella a Capo dello Stato (notoriamente non sgradito a Berlusconi), ma per allargare la base del suo consenso calamitando anche i ribelli del M5S di Grillo, il gruppo di SE di Vendola ed i sostenitori di Fitto all’interno di Forza Italia.
Un fatto è comunque certo: le diplomazie azzurre sono già impegnate nel tentativo di ricucitura dello strappo col PD e già qualche commentatore fantasioso ipotizza che dopo il patto del Nazareno, avremo il “patto del Cireneo”, ma non si conoscono i dettagli.
Come è stato facilmente notato, l’irruente e scoppiettante eloquenza di Renzi è un po’ scesa di tono, non perché c’è stato un calo negli indici di gradimento e della popolarità emersi nei vari sondaggi, ma per evitare false illusioni e delusioni tra gli Italiani.
Qualche “maligno” etichetta questo tipo di manovre come eredità insopprimibile della prima repubblica, quando i compromessi, le conversioni ed i cambiamenti di posizioni erano all’ordine del giorno, il tutto sacrificato sull’altare della sopravvivenza ed il mantenimento delle proprie poltrone.
Il fatto nuovo di queste ultime ore è l’approvazione dei decreti sulla nuova legge del lavoro “Jobs Act” che ha nuovamente rinfocolato le proteste della sinistra interna al PD e fatto dissotterrare l’ascia di guerra ai sindacati, riunitisi nella circostanza.
Un’altra anomalia dell’attuale classe dirigente, viene individuata nell’affannosa ricerca di coinvolgere, sempre e comunque, tutte le forze politiche nel varo di qualsiasi riforma, a prescindere dalla sua importanza.
Eppure nella vicina Inghilterra, che non è certo un paese del terzo mondo governato da un regime dittatoriale, chi vince le elezioni governa con la sua maggioranza, senza implorare il consenso dell’opposizione, nemmeno nelle decisioni più importanti.
Perché in Italia non si fa altrettanto? Forse per la inadeguatezza dell’attuale legge elettorale? Ed allora chi e cosa si aspetta per fare approvare quella nuova, che da troppo tempo procede molto a rilento, e che dovrebbe ovviare a queste anomalie?