Tre Confederazioni: a che servono?

Roma, 27 maggio – Tempo di campagna elettorale come di contestazione sociale. I nodi che deve sciogliere il governo sono molti perché, per “ordini” superiori, non ha dato la priorità alle cose indispensabili, ma alle cose di comodo.

Il PdC ne sa qualcosa. Qual’era la priorità assoluta, all’indomani di Monti e di Letta, ma anche da settanta anni a questa parte?

È presto detto; il denaro, la finanza pubblica che, con il “felice” avvento, prima di Monti e poi di Letta, ha toccato il suo perigeo nei conti pubblici italiani.

Risultato? Governo, vale a dire lui, Renzi, a tavolino con i… lavoratori bloccati negli stipendi più bassi dell’Europa, da lungo tempo.

A tavolino, lui e i lavoratori. Si incontrano, si calcolano le necessità, discutono,e il problema è risolto. Si; ma il problema non è questo ma quello che i lavoratori sono un problema perché quando una persona tratta con loro non tratta con un interlocutore solo, “il sindacato”, ma con tre interlocutori diversi, i sindacati. Che cosa significa? Significa che i lavoratori, tutti, sono assistiti da tre confederazioni sindacali per cui, quando sono troppi “galli a cantare”, non si fa mai giorno.

Non c’è modo migliore per definire la situazione.

Tre sindacati hanno fatto sempre “il brutto e il cattivo tempo” come volevano, perché “il bello” non si è mai visto fino ad oggi per cui a cosa servono tre confederazioni? Sistematomi definitivamente in banca e, bersagliato in vari modi, dai pressanti “inviti” dei rappresentanti di tutte le confederazioni sindacali, e varie correnti e sottocorrenti, presenti nell’istituto, perché aderissi al gruppo di ciascuno, ho ripreso l’argomento da lavoratore ed ho avuto dai colleghi alcune risposte che “non stavano né in cielo, né in terra”. Ogni lavoratore ha diritto ad essere rappresentato da un sindacato che rispecchi le sue idee politiche. Che cosa significa, che, contrariamente a quanto ha sempre sostenuto e predicato il sindacato, i lavoratori non sono tutti uguali? Che esistono i lavoratori comunisti, (quando il comunismo non esiste più), i lavoratori del centro e i lavoratori fascisti? Ma i lavoratori, a qualsiasi estrazione ideologica appartengono, non concorrono tutti, indistintamente, ad un fine comune, la produzione di ricchezza personale e del paese? Una “partita doppia” redatta da un ragioniere comunista è diversa da quella redatta dal ragioniere fascista? Un ingranaggio meccanico montato in un motore da un operaio comunista è diverso dall’ingranaggio montato dall’operaio fascista? In sintesi, il Prodotto Interno Lordo del lavoratore comunista è diverso dal Prodotto Interno Lordo del lavoratore fascista? La lotta sindacale del lavoratore comunista è diversa dalla lotta sindacale del lavoratore fascista? E i diritti del lavoratore comunista, sono diversi dai diritti del lavoratore fascista? Quando c’è una vertenza sindacale e i lavoratori convergono a Piazza San Giovanni o a Piazza del Popolo, a quale scopo vengono pronunciati tre discorsi diversi dai tre segretari confederali? I lavoratori convenuti non sono tutti uguali, nei diritti e nei doveri? A quale scopo, tre oggetti di discussione diversi?

Mi sono posto, ancora, negli ultimi tempi, questa serie di domande e posso dire di aver trovato “una risposta amara” nelle espressioni sobrie e sornione della Camusso, della Furlan e di Barbagallo, che, all’assemblea della Confindustria, loro, che non brillano certamente per preparazione sull’economia, facevano finta di ascoltare la relazione del segretario Boccia che, con parole gentili, diceva che l’Italia è ferma perché gli imprenditori non investono e se ne vanno.

La scena non ha potuto fare a meno di ricordarmi la medesima assemblea, tenutasi molti anni or sono, con  Lama alla CGIL che si risolse con un fallimento del sindacato. Al giornalista che gli chiese cosa lui rispondeva alla pressante richiesta di lavoro dei giovani, Lama rispose laconicamente “…dobbiamo incoraggiare nei giovani i lavori artigianali…” e se ne andò.

Bene; da felice pensionato osservo la scena dell’assemblea della Confindustria e penso ad una situazione che vissi durante il mio periodo lavorativo. In piena vertenza sindacale, la CGIL ebbe a contestare la CISL e la UIL che avevano proclamato uno sciopero dopo di lei, che creava disagio all’utenza. La CISL e la UIL le rinfacciarono che quando proclamava uno sciopero lei, era sempre giusto, mentre quando lo proclamavano loro, danneggiava sempre l’utenza. La disparità di vedute stava nel fatto che quando si mette in atto una dimostrazione di piazza, il segretario della confederazione ha diritto ad una cifra, una specie di indennità, niente affatto modesta, mentre i lavoratori rinunciano al loro stipendio di ore o di giornate.

In questa situazione torno a chiedermi di nuovo, “…ma tre confederazioni sindacali a che servono?”

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