Sempre da “Il Fatto”, apprendiamo che tra gli indagati ci sono anche Sergio e Giancarlo Tulliani, suocero e cognato dell’ex Presidente della Camera, Gianfranco Fini. Nell’inchiesta su un maxiriciclaggio da 200 milioni legato alle slot entra anche la vicenda della casa di Montecarlo, già al centro di una indagine che nel 2010 lambì l’ex Presidente della Camera. In particolare, secondo quanto accertato dai PM di Roma, Giancarlo Tulliani avrebbe messo a disposizione di uno degli arrestati, Rudolf Baetsen (ritenuto “braccio destro di Corallo”), legato all’imprenditore Corallo, due società offshore per poter far transitare i soldi destinati alle Antille. In base all’impianto accusatorio Baetsen si sarebbe mosso per finanziare l’acquisto dell’appartamento di Montecarlo che era stato di proprietà di Alleanza Nazionale attraverso tre società offshore riconducibili a Giancarlo Tulliani. Aggiunge Rapetto: “Non sono riuscito a provare gioia nel leggere che questi signori sono finiti in manette. È più forte il ricordo delle mortificazioni del mio reparto e mie personali nel vedere il signor Amedeo Laboccetta diventare Deputato della Repubblica, sedere quindi in Commissione Finanze e poi diventare membro di quella parlamentare Antimafia, dove si portò come assistente Francesco Corallo. Lo stesso Francesco Corallo che alla fine del 2013 mi denunciò per diffamazione e non si presentò all’udienza in cui – lui latitante – io provavo il brivido, dopo mesi di angoscia e dolore, di trovarmi nel banco sbagliato. L’archiviazione di quel giorno non ha cancellato i segni delle prepotenze subite anche dopo esser stato costretto a mollare quella che era la mia vita. Vorrei, invece, sapere dai miei superiori di allora se hanno coscienza di quel che mi hanno costretto a fare. Vorrei poi che la gente, vedendo come le cose possono evolvere e cambiare, non si arrendesse, non continuasse a piegare la testa. Qualunque ne sia il costo”.
Con l’articolo: “Lotta al gioco d’azzardo a seguito del grande allarme sociale. Si, ma con quali armi?”, del 18 settembre 2012, scrivemmo che l’Italia è il primo paese al mondo per spesa pro-capite dedicata al gioco. Secondo alcune ricerche il 2.2% della popolazione adulta italiana risultava a rischio per il gioco d’azzardo se non addirittura “vittima” di una patologia. Lotterie, slot machine, poker, scommesse e giochi di diversa natura hanno inondato il mercato a ritmi sempre più frenetici. Ci chiedemmo anche chi c’era in realtà dietro quelle società sotto i riflettori dell’Antimafia e perché i Monopoli avevano accolto aziende con proprietà equivoche e non chiare, a cui di fatto veniva affidato il ruolo di esattore fiscale?
Il primo caso citato, quello di Renato Grasso, risultato legato ai clan camorristici Vollaro, Grimaldi e ai Casalesi, che grazie alle intimidazioni aveva ottenuto in certe zone l’esclusiva nel noleggio dei videopoker illegali e leciti, nonché nella raccolta delle scommesse legali e clandestine. Un’ altra vicenda preoccupante, secondo la DIA di Milano, era quella del clan ‘ndranghetista Lampada-Valle che, partito da una pizzeria a Reggio Calabria, era poi approdato a Milano dove si era imposto nel mercato del gioco elettronico imponendo apparecchi non collegati e truccati ed addirittura ottenendo una licenza come concessionari dello Stato. E che dire della ben nota “Atlantis”, che controllava il 30 per cento del mercato dello slot machine, al centro di dubbi e polemiche, il cui amministratore era Francesco Corallo, figlio di Gaetano, già condannato per vari reati e noto per la sua vicinanza alla mafia e in particolare a Nitto Santapaola? A rappresentare l’Atlantis in Italia, con sede a Roma, con la qualifica di “preposto”, figurava il trentunenne catanese Alessandro La Monica e, prima di diventare Parlamentare del Pdl in quota An, il rappresentante legale era Amedeo Laboccetta. Quindi, quanto hanno guadagnato esattamente le società controllate da Francesco Corallo? Sommando gli utili netti dichiarati nei bilanci, solo tra il 2005 e il 2011 si totalizzava la ragguardevole cifra di 356 milioni di euro. Tra il 2012 e il 2013, con il boom delle video scommesse di nuova generazione, il margine lordo saliva di altri 200 milioni…Corallo si difendeva e giurava di non avere rapporti con il padre da decenni; e poi di aver sostituito le offshore con un trust di diritto inglese. Il problema è che la società restava anonima, come sostenne l’allora Prefetto di Roma, che alla luce dei rapporti tra Corallo padre e Santapaola firmò un’ interdittiva antimafia che portò al commissariamento del gruppo. Una settimana dopo la Corte dei Conti centrale pronunciò un secondo verdetto definitivo, importante anche per lo Stato: il gruppo Corallo, accusato di aver staccato le sue macchinette dalla rete di controllo fiscale, venne condannato in primo grado a risarcire oltre 840 milioni di euro ……
Già allora, ma ancor più oggi, si evince che non c’è volontà politica per infrenare questi scempi della legalità con leggi certe e incisive; necessita certamente una nuova, urgente, più forte strategia per un attento controllo di tutta la filiera del gioco.
Concludiamo, per evidenziare che della repressione dei reati poco ci si preoccupi in Italia. I delinquenti sanno che in Italia la Giustizia non è efficiente e il sistema è tale che, dopo poco, si è rimessi in libertà e si può ricominciare come prima… Rispetto a tali condotte, di cui ormai si legge nella cronaca con frequenza allarmante, è necessario adottare la giusta severità, trattandosi di comportamenti gravi e irrispettosi dei diritti altrui.
Ai lettori, come di consueto, l’invito per le più opportune riflessioni sul gran tema dell’ illegalità nostrana…….