Qualche anno fa, l’ignoto attentatore che tirò la statuetta del Duomo di Milano in faccia a Berlusconi, fu identificato subito per uno psicopatico e poi si scoprì che era lo “scemo del paese” affinché nessuno potesse credere alla premeditazione e all’organizzazione. Oggi lo scenario cambia e a farne le spese non sono i politici ma due Carabinieri, dei quali uno è grave, che non c’entravano niente e che avevano l’unico torto di fare il loro mestiere. Immediatamente l’attribuzione di psicopatico in quanto ha agito da solo e, apparentemente, con lucida follia in quanto, con un’arma da fuoco nelle mani, avendocela a morte con i politici, sentiva la necessità di scaricarla addosso a qualcuno; punto. È la verità? Certamente!, ma soltanto una delle tante; quella più accreditabile da dare in pasto al popolo che poi se la digerisca come gli pare, sia nella salsa PD, sia in quella PdL, sia, purtroppo, in quella Monti. Fanno parte del “quadro”, la retorica della Boldrini, Presidente della Camera, che ha commentato laconicamente, “con la violenza non si arriva a niente” e “la politica trasforma la vittima in carnefice”. Se volessimo fare dell’umorismo macabro, potremmo dire che la scena avanti a Palazzo Chigi, ha assunto l’aspetto di un film poliziesco d’azione, ma andiamo più avanti di questa osservazione semplicistica, uso e consumo dei vari fotoreporters e operatori che si trovavano sul luogo per soddisfare gli appetiti di sensazionalismo di televisioni e di telespettatori, e fermiamo la nostra attenzione o capacità di giudizio sullo stadio esattamente successivo, la cronaca, nella redazione, che, poi, attraverso i vari mezzi tecnologici, arriva al fruitore. La cronaca impazza nel definire dati, connotati e particolari dell’avvenimento: era uno solo e ha agito da solo; notoriamente conosciuto come psicopatico, permanenze in ospedali psichiatrici, forse inventate, situazione familiare molto precaria, disoccupato e, data la situazione familiare, rifugiato nella famiglia di origine …. Il bombardamento dei mezzi di comunicazione di massa è cinico, micidiale e spietato e seppellisce nell’oblio le sue stesse vittime della grande schiera di tutti gli altri fatti simili che, nell’arco delle ventiquattrore, si “mangiano, si digeriscono e si distruggono” e l’attore dell’avvenimento di quel giorno, per i più, sarà quello psicopatico ecc., ecc. Così, quando la nostra capacità di giudizio e di penetrare la notizia oltre il suo aspetto esteriore si ferma, può portarci alla scena finale di una divertentissima commedia americana. Il riferimento in verità è irriverente verso la drammaticità dell’avvenimento ma ci fotografa alla perfezione il “teatro” in cui si muovono attori e comparse. Il film è “10 IN AMORE” (titolo originale “The Teacher’s pet”) e, nella scena finale, un oscuro cronista del “New.York Chronicle”, sottopone, al Caporedattore un suo servizio su un fatto criminoso avvenuto nell’ambiente dei portoricani, sfruttati vergognosamente dalla mafia americana, e di cui si attribuisce l’intera responsabilità ad un “capro espiatorio” perché questi, vittima di determinati soprusi, aveva agito da solo. Questo è il colloquio che definisce la sintesi del film ma che ci fornisce la “chiave di lettura” del nostro avvenimento:
Caporedattore: (dopo aver esaminato il servizio) “….senti, noi vendiamo pubblicità e la vendiamo anche a buon prezzo; molto dello spazio che tu adoperi nella narrazione è sprecato …devi sintetizzare maggiormente e far capire subito al pubblico avvenimento, autore del fatto e complici!”
Cronista: “Oh, no, signore!…..le cronache sono molte chiare; l’uomo che ha sparato ha agito da solo e la pistola porta le sue impronte digitali….”
Caporedattore: (con tono di insegnamento) “la mano che ha sparato era la sua, ma era stata armata da quattro complici che erano sempre inesorabilmente accanto a lui, la povertà, il pregiudizio, l’amarezza e la disperazione, che lo seguivano sempre e dovunque; non è lui il colpevole, furono loro ad armarlo. Riscrivilo!”